Pd, dietro il crack referendum
l’immobilismo del partito

Dire che alla fine il voto referendario non è poi andato tanto male, come ha sostenuto una parte del Pd, è stupido e falso. Referendum che mancano il quorum per una ventina di punti rappresentano una disastrosa sconfitta, anche per i Dem e per Elly Schlein che li ha cavalcati.

Voto referendario, Elly Schlein

Elly Schlein

Ma la cosa più stupida è stata quella di farsi trainare dal segretario della Cgil, trasformando i quesiti referendari di Landini in una battaglia politica del centrosinistra contro il governo. Con il grande risultato di accendere i riflettori su un Campo largo minoritario, sconfitto e quindi più debole di prima.
Difficile spiegare un simile concentrato di errori, ma forse la vera ragione di una scelta apparentemente irragionevole va cercata nell’immobilismo di fondo del Pd, un partito paralizzato da una classe dirigente autoreferenziale, vecchia e incapace di dare risposte ai problemi dei cittadini. Una situazione evidentemente pericolosa che alla fine deve aver spinto la segretaria a fare qualcosa di marcante per far uscire il Nazareno dal suo tendenziale immobilismo, dalla posizione di comodo di un partito tuttora in mano a un gruppo di feudatari che tendono soprattutto a preservare il proprio potere. E quindi ecco spiegato perché Elly Schlein a un certo punto ha deciso di farsi trainare da Maurizio Landini, riconoscendogli quel ruolo di supplenza politica a cui l’attuale segretario Cgil aspira invano da anni.
Ed è proprio sull’immobilismo che oggi vale la pena di riflettere per mettere a fuoco l’ultimo flop della sinistra. Con una crisi politica evidente e sotto gli occhi di tutti, visto il disastroso esito d’una assurda partita referendaria che ha trasformato dei semplici quesiti su lavoro e sulla cittadinanza in un voto politico pro o contro il governo Meloni.

Maurizio Landini ed Elly Schlein

Un autentico suicidio la cui origine va cercata nella storia del Pd, fondato nel 2007 per raccogliere l’eredità del Pci e della sinistra Dc, ma che in realtà non è mai nato come vero e proprio partito politico. Penalizzato fin dal primo momento dalle innumerevoli rese dei conti interne, dalla cultura egemonica ereditata dai “ragazzi di Berlinguer”, il Pd è oggi una forza senza un progetto che si muove a colpi di spot e di slogan tra sventolii di bandiere identitarie. Il tutto sotto gli impulsi della segretaria movimentista che spesso lo fa assomigliare a uno dei tanti partiti personali nati dopo la fine della Prima Repubblica.
Ecco quindi il contesto che ha portato i Dem a trasformare un semplice referendum in una conta politica. Ed ecco spiegato anche l’incredibile messaggio autoconsolatorio dettato da Elly Schlein subito dopo la sconfitta, secondo cui i referendum hanno raccolto più voti della destra alle ultime politiche. Senza provare a spiegare, come sarebbe stato dovere di un leader politico, che in questo caso i cittadini non erano stati chiamati a votare pro o contro il governo di Giorgia Meloni. Infine, ciliegina sulla torta, l’esito del quesito sulla cittadinanza. Dove una fetta non trascurabile di elettori che alle ultime Europee avevano votato Pd ha respinto la proposta di dimezzare il periodo di residenza per diventare italiani. Dando, questa volta sì un voto politico, ma contro la segretaria Dem che si era schierata per il sì…