Gli acquedotti romani
sbucano maestosi

Senza acqua non si vive e non si governa. Gli acquedotti romani sono in piedi da oltre duemila anni. La Roma dei Cesari aveva undici acquedotti, centinaia costellavano l’Impero. Acquedotti, strade, ponti erano fondamentali opere pubbliche di comunicazione al servizio di esigenze commerciali e militari. Teatri, anfiteatri, terme erano altre infrastrutture culturali, ludiche e civili. Ce ne parla Maria Luisa Berti.

Acquedotti romani, Un tratto dell'Acquedotto Claudio

Un tratto dell’Acquedotto Claudio

Quando Roma conquistava un nuovo territorio fondava nuove colonie, costruiva strade, ponti e acquedotti.
Per costruire gli acquedotti occorreva scegliere una sorgente e lo si faceva con una serie di ricerche, di assaggi e di sperimentazioni. Bisognava poi verificarne la potabilità e, non avendo strumenti scientifici adeguati, si assaggiava più volte l’acqua della sorgente. Questa doveva essere posizionata più in alto rispetto alla sua destinazione: il calcolo della pendenza rappresentava la base di tutto il progetto. La conduttura d’acqua, per essere ideale, doveva avere una pendenza media del 2 per mille.
Per misurare questo valore, si utilizzavano due strumenti: il chorobates, una piccola costruzione di legno con dei pesi di piombo, che permetteva di calcolare la pendenza del luogo, e la dioptra, una creazione greca che permetteva di calcolare l’angolazione dell’acquedotto sia prima sia durante la costruzione.
Affinché l’acqua arrivasse pulita all’abitato si progettavano delle vasche di sedimentazione, poste immediatamente dopo la fonte e ad intervalli distanziati.
Servivano per radunare l’acqua durante il percorso e farla ristagnare in modo che sul loro fondo si depositassero foglie, materiale limaccioso, fango e polvere.
Per proteggere le condutture dell’acquedotto, sia la parte sotterranea che quella esposta alla luce venivano ricoperte da materiali naturali che impedivano a foglie, pioggia e altre sostanze di penetrare nell’acqua durante il suo percorso.
Per superare le colline si scavava al loro interno, senza bloccare o creare danni al territorio. Nel caso ci si trovasse di fronte a valli profonde si costruivano delle strutture di sostegno per colmare il vuoto e mantenere la pendenza calcolata delle tubature. Fu per questa ragione che i romani eressero strutture basate sugli archi, resistenti e atti a distribuire il peso della costruzione, che doveva essere solida.

L’Acquedotto dei Quintili

A volte non era possibile costruire una sola fila di archi, perché ogni arco sarebbe stato troppo grande, e allora si creava una fila di archi più grandi e al di sopra una seconda fila di archi più piccoli per mantenere una certa robustezza.
Se però ci si trovava di fronte a valli profonde e impervie, si sfruttava la tecnica del sifone invertito. Secondo il principio dei vasi comunicanti l’acqua veniva raccolta in un’enorme vasca per accumulare peso e farla poi cadere per gravità e con forza lungo una tubatura appoggiata a degli archi al centro della valle. Con la sola “rincorsa”, l’acqua era in grado di risalire dal lato opposto e raggiungere la sua destinazione, ovvero una vasca posizionata al lato opposto, più in basso della prima. L’acqua finiva nella vasca di distribuzione dove eventuali sedimenti si depositavano sul fondo per un’ultima fase di purificazione prima di giungere in città e rifornire abitazioni private, terme, fontane e latrine.
Gli acquedotti romani richiedevano una regolare manutenzione, per riparare i danni accidentali, per pulire i condotti dalla sabbia e da altri detriti e per rimuovere gli accumuli di carbonato di calcio, che ostruivano i canali dove scorreva da acqua dura. Punti di accesso e ispezione erano posti a intervalli regolari sui normali condotti interrati. Si sa poco dell’attività lavorativa giornaliera delle squadre di manutenzione che doveva essere assai impegnativa. La chiusura completa di un acquedotto per la manutenzione era un evento raro, per il più breve tempo possibile, e le riparazioni erano effettuate quando la domanda d’acqua era più bassa, probabilmente di notte.

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