Dazi sì, dazi no, dazi forse. Trump suona con forza la tromba della guerra commerciale dei dazi. La suona contro tutti prima e dopo il 20 gennaio, il giorno del suo insediamento come 47° presidente degli Stati Uniti d’America.

Donald Trump parla al Congresso Usa
Minaccia, decide, sospende, ripristina i super dazi verso tutti: Europa, Canada, Messico e Cina. Non fa distinzione tra paesi alleati e paesi avversari. Anzi. Usa toni durissimi e offensivi proprio verso le nazioni amiche democratiche. Proclama dazi del 25% sulle importazioni dall’Unione Europea: è nata «per fregare gli Stati Uniti».
L’incertezza è totale. I paesi colpiti dalla guerra commerciale rispondono per le rime: adottano e preparano dazi sulle importazioni dagli Stati Uniti. Trump nel discorso ai deputati e ai senatori, riuniti in seduta comune, non se ne cura. Usa i suoi consueti toni trionfalisti dei populisti della destra autoritaria. Si paragona addirittura a George Washington. “Spara”: in meno di 50 giorni di governo «c’è stata un’azione rapida e implacabile per introdurre l’era di maggiore successo nella storia del nostro Paese». Dice: «L’America è tornata», una «età dell’oro» è dietro l’angolo, «il sogno americano rinasce».

Assemblea del Congresso Usa
I parlamentari repubblicani si alzano in piedi e applaudono, quelli democratici ascoltano in silenzio e fischiano. Il deputato democratico Al Green lo interrompe e i repubblicani lo contestano gridando: “Usa!, Usa!, Usa!”. Il presidente accusa il colpo: definisce «molto triste» il rifiuto dei democratici di «celebrare insieme». Poco dopo Green è scortato fuori dall’assemblea del Congresso. Trump parla della possibile fine del «selvaggio conflitto in Ucraina» ma arriverebbe con una soluzione pro Russia. Si rincorrono le voci sulla sospensioni dell’invio di armi a Kiev. Insiste sull’espulsione di massa degli immigrati irregolari e sull’applicazione dei dazi anche se «ci saranno dei piccoli scompigli». L’anima conservatrice degli Stati Uniti è con lui, con lui sono anche i miliardari della tecno destra, gli imprenditori dell’alta tecnologia con in testa Elon Musk.
Ma una metà dell’America è schierata contro il nuovo presidente. I democratici dall’opposizione attaccano la lesione dei diritti democratici e la guerra dei dazi. Solo l’annuncio della guerra commerciale provoca un mare di danni: Wall Street e il dollaro scendono da quando Trump è alla Casa Bianca, le famiglie americane sono preoccupate per l’aumento dell’inflazione che taglia salari e pensioni (e i dazi potrebbero accentuare la corsa dei pezzi). Non a caso i sondaggi rilevano una diminuzione a febbraio dell’indice di fiducia dei consumatori, è il più forte calo mensile dall’agosto 2021.

Incontro-scontro tra Zelensky, Trump e Vance alla Casa Bianca
Si moltiplicano in tutti gli Stati Uniti le manifestazioni di protesta contro l’amministrazione Usa dopo l’umiliazione di Volodymyr Zelensky nell’incontro-scontro alla Casa Bianca. Un migliaio di persone contesta J.D. Vance in vacanza a sciare con la famiglia in Vermont. Urla e cartelli attaccano il vice presidente: «Traditore, vai a sciare in Russia». E Vance è costretto a cambiare albergo per motivi di sicurezza.
Potrebbe finire la luna di miele di Trump con l’America profonda, dei ceti medi bianchi impoveriti, quelli artefici della sua vittoria elettorale. Il “sogno americano” di eguaglianza, di diritti e di progresso somiglia poco al programma sociale, economico, espansionistico di Trump verso la Groenlandia, Canada, Panama e Gaza. Invece della promessa «età dell’oro» l’America potrebbe crollare sotto un collasso economico globale (il suo debito pubblico è enorme) e l’addio dei paesi democratici alleati minacciati anche dal disimpegno militare americano.
Forse ha ragione il Wall Street Journal quando definisce i dazi la guerra commerciale “più stupida” della storia.