Silvia-Aisha, quando
lo Stato tratta

Silvia Romano: che si sia convertita all’Islam, che illuminante sia stata la lettura del “Corano”, che oggi si sia auto-battezzata Aisha, in fin dei conti sono fatti suoi (fino a un certo punto: è ottima propaganda, non tanto per qui, l’Italia, l’Occidente; quanto per le popolazioni dove operano i terroristi di al-Shabab e i loro alleati di al-Qaeda; ma questo è un lungo e diverso discorso. Non qui, non ora).Silvia-Aisha, Corsivo

C’è un passaggio, per esempio, nel dettagliato resoconto di Fiorenza Sarzanini sul “Corriere della Sera” che colpisce: «…Un racconto angosciante che la giovane volontaria catturata il 20 novembre 2018 in un villaggio del Kenya aveva cominciato con la psicologa che l’ha accolta all’ambasciata di Mogadiscio e le è rimasta sempre accanto anche sul volo che l`ha riportata in Italia. A lei Silvia ha confermato di essersi convertita. Soltanto a lei ha rivelato che ‘adesso mi chiamo Aisha’».

Alla psicologa «conferma». Significa che qualcun altro era a conoscenza della «conversione». Ma solo alla psicologa Silvia «rivela» il dettaglio del nuovo nome: Aisha. Solo a lei. Ma lo sappiamo tutti. È un dettaglio; e ben altri gli interrogativi e le riflessioni che si possono, si devono fare. Però, quel «soltanto a lei ha rivelato…». O non soltanto a lei; oppure chi ha avuto la confidenza si è lasciata scappare una parola di troppo. Se la seconda ipotesi è vera, speriamo sia solo una parola, quella scappata.

Ma per restare ai “dettagli”: il Corano. La ragazza ne chiede una copia, e il desiderio viene prontamente esaudito. In che lingua? Italiano, inglese, arabo?  

Quanto al “pagamento” di un riscatto, scandalizza solo gli ipocriti; la solfa dei costi, del «e noi paghiamo» è appunto una solfa. Logora e trita. Gli italiani hanno sempre pagato: ogni rapito poi liberato quasi sempre è stato il risultato di un riscatto. Lo fanno tutti, compresi i paesi della “fermezza”, Stati Uniti e Israele compresi. Trattano. Pagano. Liberano prigionieri. Assicurano impunità. Magari non lo ammettono, ma lo fanno. Va bene così. È una doppiezza, amara, ma che è in vigore da sempre. La “novità” è che questa volta, lo si ammette senza reticenze, quasi sfrontati. Queste cose si fanno, ma non le si sbandiera. Mancano i fondamentali. Del resto, che dire di un ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che sbuffa irritato per essere stato informato solo a cose fatte? L’operazione è stata condotta dai servizi. I servizi hanno un rapporto fiduciario con il presidente del Consiglio. A lui riferiscono, da lui dipendono. Giustamente Di Maio è stato tenuto all’oscuro di tutto, e avvertito solo una volta che la ragazza era libera. Incredibile questa voglia insopprimibile ma stupidamente arrogante di presenzialismo.   

Per tornare alla “trattativa”: in fin dei conti quello che faceva uno dei nostri più bravi “spioni” in Medio Oriente, il colonnello Stefano Giovannone dalla “stazione” di Beirut, quando i gruppi estremisti palestinesi “operavano” con i loro attentati in mezza Europa; dava dei “punti”, tanti “punti”, agli americani, ai francesi, agli inglesi, agli israeliani. È il famoso “lodo Moro”, in certa misura ancora in vigore, e grazie al quale l’Italia ha patito “solo” un paio di attentati, niente rispetto a quello che è accaduto in Francia o Germania o in altri paesi d’Europa. Giovannone sì, ne sapeva di cose: tante. Ma non ha mai parlato, rigoroso nel suo «obbedir tacendo».

Lodo Moro: giusto l’altro giorno l’anniversario, 42 anni, dell’uccisione da parte delle BR del leader democristiano; vicenda con tanti “buchi neri”, come dice anche il presidente della Repubblica. Chi quei giorni li ha vissuti, ricorda un paese dilaniato: da una parte la “fermezza” (che si tradusse in sostanziale immobilismo), perché lo Stato non cede ai ricatti dei terroristi, non tratta e non li riconosce. Dall’altra chi cercò vie per una possibile salvezza di Moro: il Vaticano con Paolo VI mise a disposizione un’ingente somma di denaro; il presidente della Repubblica Giovanni Leone aveva la penna in mano pronto a firmare la grazia per una terrorista che non si era macchiata di reati di sangue, ed era malata. Ma lo Stato, alla fine, “fermo”, non trattò. Moro venne ucciso. Nobili parole di fermezza, si udirono in quei giorni, dagli Ugo La Malfa e dai Sandro Pertini; dai Giorgio Almirante e dai leader degli allora Democrazia Cristiana e Partito Comunista: «Lo Stato c’è!», si teorizzò; e c’era in virtù di quella “fermezza”. Lo Stato poi si è manifestato in altro modo in occasione del rapimento di Ciro Cirillo, sempre da parte delle BR. E anche oggi lo Stato c’è, con Silvia-Aisha, e la trattativa tranquillamente ammessa, perfino in modo più esplicito che nei precedenti simili casi.

A volte si è “fermi”, intransigenti; altre flessibili, pragmatici. Dipende. Non scandalizza questo doppio comportamento (chiamarla doppia morale, forse non è appropriata definizione); però fa pensare. Almeno si spera. Per inciso: nessuna critica per la trattativa che ha consentito la liberazione di Silvia-Aisha. Però quel denaro che i terroristi di al-Shabab hanno ottenuto servirà per finanziare altre “imprese”. E questo, è l’aspetto più riprovevole, per quanto inevitabile, di tutta la vicenda.