Il nuovo Pd stenta. Nicola Zingaretti è riuscito a fermare solo il crollo. Alle elezioni europee di maggio è risalito al 22% dei voti dal drammatico 18% registrato da Matteo Renzi nelle politiche del 2018. Tuttavia il Partito democratico non riesce ad assolvere al suo ruolo di opposizione al governo M5S-Lega. Matteo Salvini e Luigi Di Maio, nel loro scontro reciproco e permanente, hanno occupato sia il ruolo di governo sia quello di opposizione e non lasciano alcuno spazio al segretario del Pd.
Zingaretti ancora una volta ha invocato la necessità di «un partito radicalmente nuovo» altrimenti «non ce la facciamo a svolgere il nostro ruolo». All’assemblea nazionale dei democratici di metà luglio è tornato a sollecitare un grande cambiamento per rappresentare «una alternativa credibile» al populismo di grillini e leghisti.
Ma «una nuova fase» continua a non materializzarsi. Su giornali, televisioni e Internet il Pd o non c’è o ha un ruolo marginale. Così nelle discussioni ai tavolini dei bar: si parla solo bene o male di Salvini e Di Maio, del Movimento 5 stelle e della Lega. Stop. Zingaretti, da quando a marzo è stato eletto segretario del Pd, ha promesso il rilancio sui temi del lavoro, dell’uguaglianza, dei diritti, delle libertà ma non si è visto nulla. Il Pd è sempre diviso in cento correnti diverse. Non è riuscito a imporre sul ring della politica né un’idea forte né tantomeno un progetto riformista alternativo di società.
Eppure sia la Lega sia il M5S non godono certo di buona salute. Salvini è alle prese con la devastante inchiesta giudiziaria sull’ipotesi di corruzione internazionale che ha colpito Gianluca Savoini (la magistratura indaga su circa 65 milioni di dollari che sarebbero stati destinati dalla Russia alla campagna elettorale leghista per le europee). Salvini ha smentito di aver «mai preso un rublo, un euro, un dollaro» ma l’immagine della Lega è gravemente ferita. Di Maio, dopo il flop elettorale alle europee, deve fare i conti con la rivolta dell’ala antagonista dei cinquestelle, con i loro tanti no ambientalisti e anti-industriali: alla Tav, ai Benetton nell’Alitalia, al Salone dell’auto di Torino, alla ripresa produttiva dell’ex Ilva.
Il segretario della Lega e il capo politico del M5S sparano a raffica battaglie molto popolari. Salvini, anche se in difficoltà, tiene botta: dopo gli applausi del ceto medio impaurito dagli immigrati e degli aspiranti pensionati ottenuti con le misure anti-migranti e con “quota 100”, adesso raccoglie il consenso dei contribuenti proponendo il taglio delle imposte con la flat tax. Di Maio si difende: dopo aver attuato il reddito di cittadinanza per i più poveri, propone il salario minimo garantito.
Il Pd, invece, non riesce a elaborare e proporre alcun progetto di società, nessuna battaglia riformista. La sua opposizione non incide. Non riesce a rappresentare né i lavoratori né il ceto medio. Per i piccoli e micro partiti del frammentato centro-sinistra la situazione è analoga, anzi peggiore. Eppure le nuove tecnologie digitali e l’industria eco-sostenibile pongono problemi e offrono un nuovo campo d’azione sconfinato. C‘è da ricostruire un progetto culturale oltre a quello politico.