Cure diverse per il Pd
da Zingaretti e Calenda

L’impensabile è successo. Il Pd ai ballottaggi comunali del 24 giugno ha perso perfino le sue città gioiello in Toscana, in Emilia Romagna e in Umbria. C’è stato un terremoto, le roccaforti rosse non esistono più. Ha ceduto anche “l’alleanza larga” tra i democratici e gli altri partiti del centro-sinistra: Siena, Massa e Pisa in Toscana, la regione dell’ex segretario democratico Matteo Renzi, sono state conquistate dal centro-destra a trazione leghista. Una vera ecatombe: nel 2013 il centro-sinistra in Toscana amministrava ben 10 capoluoghi su 11, ora invece conta appena su 3 sindaci.

ballottaggi comunali, Matteo Renzi

Matteo Renzi

Perfino a Siena ha abbassato la bandiera: la crisi e la nazionalizzazione del Monte dei Paschi, un tempo banca onnipotente, ha avuto conseguenze devastanti. Imola, in Emilia Romagna, è stata espugnata dal M5S, nonostante al primo turno del 10 giugno fosse in vantaggio il centro-sinistra con il 10% dei voti. È scattata l’alleanza grillo-leghista, quella del governo nazionale, e non c’è stato niente da fare.

È una disfatta ad alto contenuto simbolico e segue il tracollo al 18% dei voti subito dal Pd nelle elezioni politiche di tre mesi fa. Malissimo anche il tandem Bersan-D’Alema. Liberi e Uguali già alle politiche era riuscito a superare appena il 3%. Il centro-sinistra ai ballottaggi comunali riesce a spuntarla sono in alcune città, come Brindisi ed Ancona, e in due municipi di Roma grazie all’effetto Raggi. Nella capitale il centro-sinistra è riuscito a vincere alla Garbatella e al Nomentano (circa 300 mila abitanti), per la fallimentare amministrazione della sindaca grillina (il M5S non è stato ammesso neppure al ballottaggio).

Ancora è presto per capire dove si sono diretti precisamente gli elettori in fuga dal Pd e dal centro-sinistra, ma certamente si è aperta una nuova fase politica che ha azzerato la Seconda repubblica. Molti cittadini progressisti si sono ancora rifugiati nell’astensione (i votanti sono stati appena il 47,61% nei ballottaggi comunali, in calo rispetto al già al basso dato del 60,7% del primo turno). Ma tanti elettori di centro-sinistra sembra siano rimasti affascinati perfino dalla destra sovranista e nazionalista di Matteo Salvini, facendo vincere i sindaci del centro-destra non solo nel nord Italia (come a Ivrea e a Sondrio), ma anche nelle regioni per 70 anni con un cuore rosso (è andata all’alleanza Salvini-Berlusconi-Meloni anche Terni, la città umbra dell’acciaio, un simbolo dell’industria siderurgica italiana e della sua crisi).

Nicola Zingaretti

Già, la chiusura di tante fabbriche determinata dalla globalizzazione economica, ha assestato un nuovo colpo alla sinistra, o meglio alle tante sinistre divise. Nelle elezioni politiche del 4 marzo, il beneficiario della crisi è stato soprattutto il M5S di Luigi Di Maio (nel Sud devastato dalla desertificazione produttiva ha incassato circa il 50% dei voti totali), nei ballottaggi comunali invece è premiato l’attivismo di Salvini, vice presidente del Consiglio, ministro dell’Interno e segretario della Lega.

Hanno fatto breccia le tante promesse populiste giallo-verdi tutte da mantenere: blocco dell’immigrazione in Italia, “pace fiscale” (di fatto un condono), flat tax, superamento della legge Fornero, reddito di cittadinanza, abolizione dei vitalizi ai parlamentari e agli ex onorevoli, taglio delle “pensioni d’oro” e aumento di quelle minime, tutela dei lavoratori precari come i rider (i fattorini per la consegna a domicilio dei pasti), aumento degli investimenti pubblici e dell’occupazione.

La politica seduttiva quotidiana degli annunci verso i ceti popolari e contro le élite ha premiato più il segretario del Carroccio che il capo del M5S. I disoccupati, i precari, i piccoli imprenditori e i professionisti tartassati dalle tasse, il ceto medio impaurito e i lavoratori hanno voltato le spalle al centro-sinistra e hanno dato fiducia nelle elezioni politiche soprattutto ai cinquestelle e, adesso nelle comunali, i loro consensi sono andati in particolare ai leghisti. Lega e M5S hanno inghiottito e distrutto il centro-sinistra.

Ora il Pd e la sinistra rischiano l’estinzione e si è aperta la discussione su cosa fare, come rimediare al disastro. C’è da riflettere sui tanti errori, su come risolvere l’esplosione delle disuguaglianze, la compressione dei diritti e l’immigrazione incontrollata.

Carlo Calenda

Al capezzale del Pd accorrono medici con cure diverse. Maurizio Martina, segretario reggente dei democraitci, è prudente: «C’è bisogno di leadership nuove ma il centrosinistra non può prescindere al Pd». Secondo Nicola Zingaretti, governatore del Lazio, possibile candidato alla segreteria del partito su una impostazione socialdemocratica, «un ciclo storico si è chiuso» e «va ripensata» con coraggio l’intera strategia. C’è chi pensa, invece, a un superamento dello stesso Pd e a una nuova aggregazione liberaldemocratica sul modello di Emmanuel Macron in Francia. L’ex ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda ha indicato la strada di un nuovo inizio: «Andare oltre il Pd subito, verso un fronte repubblicano». Su posizioni analoghe il Psi. Riccardo Nencini ha proposto di rivedere tutto costruendo una alleanza riformista repubblicana «aperta e inclusiva». Certo sarebbe singolare una Italia senza più la sinistra e il centro-sinistra.