La Via Emilia è una consolare anomala. Non partiva da Roma per diramarsi verso l’Italia e il nord Europa, come le altre strade. Ma fu costruita per collegare Rimini a Piacenza, attraversando la Pianura Padana costellata di paludi e boschi. Lungo la Via Emilia, connessa a Roma mediante la Via Flaminia, fiorirono città ricche ancora adesso (Bologna la grassa, Parma, Modena, Reggio Emilia) con teatri, anfiteatri, terme, templi, acquedotti, fognature. Ce ne parla Maria Luisa Berti.

Torso virile romano a Parma
Parma fu fondata contemporaneamente a Modena. Il territorio fu suddiviso in centurie a maglia quadrata, di 710 m di lato tuttora parzialmente visibile, tra loro separate da strade e canali; con un sorteggio furono assegnate a 2000 capifamiglia, guidati dai triumviri Marco Emilio Lepido, Tito Ebuzio Parro e Lucio Quinzio Crispinola. In città il decumanus maximus ricalcava la Via Emilia e il cardo maximus si snodava probabilmente lungo le odierne vie Farini e Cavour.
Dalla città si dipartivano le vie che conducevano a nord a Brixellum, porto sul fiume Po; a sud alle vallate appenniniche, mentre a ovest del torrente Enza iniziavano le vie per Cremona e per Luni.
Lungo le strade principali c’erano le necropoli: recinti funerari contenenti più tombe, sepolture singole con epigrafi, sepolcri monumentali, tra cui quello dei due grandi leoni in pietra rinvenuti lungo la via Emilia e ora all’ingresso del Museo. Presso il limite nord della città e la strada per il Po, in una vasta necropoli scoperta nell’Ottocento, sono state rinvenute tombe di età repubblicana, tra cui la sepoltura di un bambino.
A sud, in una necropoli scavata sull’antica via per la val d’Enza, sono emersi ricchi corredi di I e II secolo d.C., in tombe ad incinerazione e ad inumazione. In mano al defunto o inserite in bocca, quali “oboli di Caronte”, sono stati ritrovati balsamari, lucerne e monete; suppellettili da banchetto (coppe e bicchieri in ceramica e in vetro), ornamenti e oggetti personali, quali pedine da gioco o conchiglie.
Dentro le abitazioni romane più ricche (le domus) dal I secolo a.C. al III secolo d.C. sono venuti alla luce reperti vari: vasellame a vernice nera e a vernice rossa, ceramiche da dispensa e da cucina, bilance, strumenti per la scrittura, bronzi per il culto domestico e l’ornamento personale.

Resti di ponte romano sul torrente Parma
La base dell’economia era costituita dall’agricoltura, soprattutto la coltivazione di cereali, praticata nei piccoli e medi insediamenti diffusi a partire almeno dal I secolo a.C. C’erano fornaci per laterizi o per anfore. Venivano importati olio e vino istriano e salsa di pesce (il celebre garum) dalla Spagna.
In età imperiale furono edificati un grande anfiteatro, un teatro e le terme. Durante l’età Augustea, nel periodo di massimo splendore, fu costruito il primo ponte in muratura sul torrente Parma. La città ottenne il titolo di Julia nel I secolo d.C., grazie alla fedeltà dimostrata verso Roma.
Fidentia, Fidenza, nacque come accampamento romano nei luoghi in cui i Galli Anani avevano fondato l’insediamento di nome Vicumvia. Per la sua posizione divenne poi un importante centro commerciale, anche per tutto il periodo dell’Impero Romano, tanto che nel 41 a.C. fu insignita da Ottaviano della cittadinanza romana come Fidentia Julia e divenne municipio. Era sorta per la sua posizione lievemente sopraelevata come posto di controllo del ponte sul torrente Stirone, di cui fu scoperta nel 1874 un’arcata al di sotto di porta S. Donnino, non lontano dalla cattedrale. L’asse viario rettilineo delle odierne vie Zani, Cavour e Berenini corrisponde al tratto urbano dell’antica via Emilia. Nel III secolo l’insediamento, ormai in progressiva decadenza, è documentato come Fidentiola vicus. Fu poi chiamato Borgo San Donnino, nome che comparve per la prima volta in un documento del 923. Dal Medioevo il borgo ebbe un certo sviluppo grazie al culto del santo e alla sua funzione di stazione di sosta lungo la via Francigena per i pellegrini in viaggio verso Roma.
Placentia, odierna Piacenza, sorse su un territorio abitato fin dall’antichità da popolazioni di stirpe ligure, al centro degli scambi tra Etruschi e Greci. I Romani la fondarono nel 218 a.C. come colonia su un antico insediamento celtico.

La pianura padana attraversata dalla via Emilia
Piacenza fu, insieme alla vicina Cremona, la prima colonia romana di diritto latino nell’Italia settentrionale, avendo l’importante ruolo strategico di avamposto militare contro le armate di Annibale. La città resistette agli attacchi punici e fiorì come centro commerciale grazie alla sua posizione. Da Piacenza passava anche la via Mediolanum-Placentia, che metteva in comunicazione Mediolanum (Milano) con Placentia (Piacenza) passando da Laus Pompeia (Lodi Vecchio).
Con la diffusione del cristianesimo la città subì le persecuzioni dell’imperatore Diocleziano in cui fu martirizzato un centurione romano che divenne patrono della città: Sant’Antonio. A lui è dedicata la prima cattedrale costruita tra il 350 e il 375. Nel 476 d.C. nelle vicinanze della città si tenne la battaglia tra mercenari germanici e truppe romane che portò alla deposizione dell’ultimo imperatore romano d’occidente, Romolo Augusto, ad opera di Odoacre, re degli Eruli.
I reperti di età romana sono ora conservati in alcune sale nei sotterranei del Museo Civico di Palazzo Farnese. In una di queste è esposto il fegato di Piacenza, modello in bronzo di un fegato, utilizzato durante le cerimonie religiose, che risale al II e I secolo a.C. e rinvenuto nel 1877 nel territorio del comune di Gossolengo. Altri reperti degni di nota sono un letto funerario, ricostruito in legno e con un rivestimento in osso bovino di gusto ellenistico, che faceva parte degli arredi della tomba rinvenuta nella zona di Cantone del Cristo, e le antefisse che facevano parte dell’apparato ornamentale di un tempio, probabilmente posto nella parte settentrionale di Placenti.
Nella sala dedicata alla domus romana, sono esposti eleganti mosaici pavimentali e oggetti di uso quotidiano come frammenti di mobilio e lucerne, strumenti per la scrittura, balsamari per unguenti e profumi, contenitori per il trucco e ornamenti personali, attrezzi per la cura della casa, la filatura e la tessitura, resti dei giochi da tavolo, tra cui una scacchiera del II-III sec. d.C. in terracotta.

La Lupa Romana a Piacenza
In un’altra sala è esposta una Sfinge Alata, elemento decorativo di un monumento funerario a edicola, sicuramente appartenuto a una famiglia eminente.
Alle spalle della colonia di Piacenza fu costruita la città di Velleia (a m.460 s.l.m.), nella valle di un subaffluente del Po, il Chero. I Romani riuscirono a piegare la resistenza delle popolazioni indigene, poco prima della metà del II sec. a.C.
La presenza di un sepolcreto a cremazione della seconda età del ferro, scavato alla fine del secolo scorso, a nord-est dell’abitato romano, conferma come la città romana sia sorta nell’area d’insediamento di una comunità protostorica. Il nome deriva da quello di una tribù ligure, i Veleiates o Eleates. Velleia diviene, attorno alla metà del I sec. a.C., municipium, capoluogo di un distretto montano esteso dal Taro al Luretta e dal crinale appenninico alla pianura, confinante con i territori di Parma, Piacenza, Libarna, Lucca. Dal I sec. d.C. la città era designata con l’appellativo di Augusta, che distingueva centri romani in territori mai del tutto romanizzati.
L’abitato era distribuito su una serie di terrazze su cui si svilupparono varie fasi edilizie. Il foro, d’età augusteo-giulio claudia, si estende su un ripiano ottenuto artificialmente con un massiccio sbancamento. È ben conservato il suo lastricato, a quattro pioventi, drenati da una cunetta perimetrale con pozzetti di decantazione agli angoli. Lo circonda su tre lati un portico con pitture murali, su cui si aprivano botteghe e ambienti pubblici, dotati d’impianti di riscaldamento.

Attila (da Il Giornale Biblioteca Storica)
A sud del complesso sorse la basilica, a navata unica, con esedre rettangolari alle testate ove, addossate alla parete di fondo, si levavano le dodici grandi statue in marmo lunense raffiguranti membri della famiglia giulio-claudia. Una serie di iscrizioni ricorda che tutto l’insieme è dovuto alla munificenza di personaggi facoltosi e magistrati locali.
A monte del foro c’erano i quartieri d’abitazione e un edificio termale. La terrazza su cui si leva sin dal Medioevo una pieve, dedicata a S. Antonino, ospitava un edificio di culto già nell’antichità. Più in alto era situato un serbatoio d’acqua, che, erroneamente interpretato, è stato ricostruito come anfiteatro. Anche se lontano dalle grandi strade transappenniniche, male esposto e minacciato da frane, l’insediamento si sviluppò grazie alle acque cloruro-sodiche presenti nei suoi terreni e dalle proprietà terapeutiche, oggetto di devozione.
Prende nome dalla via consolare la regio VIII augustea, già Gallia Cispadana, corrisponde all’attuale regione Emilia-Romagna, ad esclusione dei centri di Sarsina e Mevaniola, la cui origine umbra ne indirizzò l’accorpamento alla regio VI. Le fonti letterarie antiche, principalmente Strabone (V, 1, 4) e Plinio (Nat. hist., III, 115-119), forniscono un quadro dettagliato della regione, delle sue caratteristiche morfologiche, della presenza dei numerosi corsi d’acqua, a partire dal Po, e delle popolazioni che abitarono il territorio. Fu l’imperatore Augusto a suddividere il territorio italiano in 11 regioni, che non avevano funzioni politiche e amministrative, essendo queste ultime delegate alla Regio I Latium et Campania di cui faceva parte anche l’Urbe. Furono sostituite nel 314 d.C. dalla Diocesi d’Italia.
Quinto articolo – Fine