In teoria è tutto semplice. La chiave di accesso è il Cup. Il cittadino telefona al Cup, il Centro unico prenotazioni della sanità pubblica, e fissa un appuntamento per una visita medica specialistica o per un esame diagnostico (come una Tac).

Una dottoressa al lavoro
Questo in teoria. In realtà può diventare un incubo: alcune volte il numero del Cup non risponde, nella maggior parte dei casi risponde comunicando che non c’è disponibilità per la prestazione sanitaria o proponendo tempi troppo lunghi. Liste di attesa improponibili. Solo in minima parte le richieste sono soddisfatte. Mancano i medici. Gli stessi addetti al Cup del Piemonte ammettono il grave deficit nelle prestazioni, ma la storia è la stessa in tutta Italia. Così il cittadino mette mano al portafoglio e prenota una visita specialistica, in molti casi urgente, in una struttura sanitaria privata al prezzo di 150-250 euro, un costo pesantissimo soprattutto per i malati più fragili come gli anziani a basso reddito (in Italia sono circa 4.800.000 i pensionati con meno di 1.000 euro al mese). È un costo tanto pesante che spesso viene evitato con gravi conseguenze per la salute.
Eppure in Italia c’è (almeno formalmente) una sanità pubblica gratuita, universale, garantita a tutti perché considerata dalla Costituzione un diritto fondamentale del cittadino. Una volta la sanità pubblica italiana era un gioiello dello stato sociale, era un modello guardato con ammirazione da tutto il mondo.
Ma da molti anni non è più così. I fondi destinati al Servizio sanitario nazionale sono sempre meno e gli ospedali sono in forte sofferenza. Per risparmiare molti ospedali sono stati chiusi (come a Roma il Forlanini e il San Giacomo), i posti letto sono diminuiti, è stato ridotto il numero dei dottori e degli infermieri. Il personale andato in pensione è stato sostituito solo in parte da nuove assunzioni con gravi conseguenze per le prestazioni. Non solo: il personale sanitario è sottoposto a turni massacranti nei reparti, i medici con contratto a termine (compresi i chirurghi) sono divenuti una realtà con conseguenze nefaste per i pazienti e i professionisti, c’è perfino la novità dei “dottori a gettone” per sopperire alla carenza di personale.

Ingresso dell’ex Ospedale San Giacomo a Roma
Il pronto soccorso, porta d’ingresso per il ricovero in un ospedale se non si conosce un camice bianco all’interno, è una bolgia. Pochi medici affrontano folle di malati gravi e meno gravi: persone bisognose di cure possono restare anche tre giorni in attesa di una visita per poi essere destinate a un reparto. Chi può fa una visita in una struttura privata e, se c’è una emergenza (come nel caso di una operazione cardiaca o di tumore), si fa operare in una clinica affrontando un costo considerevole. In questo caso, pagando, il posto in reparto si trova e in tempi rapidissimi. Le cliniche private rendono. Non a caso molti grandi e medi imprenditori hanno effettuato forti investimenti nella sanità. Eppure i cittadini italiani, quelli che non evadono, già sopportano un enorme carico fiscale, tra i più alti nel mondo, anche per finanziare il Servizio sanitario nazionale.
Le opposizioni protestano. I sindacati scioperano contro il governo Meloni per chiedere anche più fondi per la sanità e l’istruzione pubblica. Giorgia Meloni respinge le critiche. La presidente del Consiglio sottolinea: «Il Fondo sanitario nel 2024 arriva al suo massimo storico di sempre: 134 miliardi di euro». È vero, nominalmente è una cifra mai vista prima dalla sanità ma in termini di potere d’acquisto ha una consistenza inferiore rispetto al passato a causa dell’inflazione. Non a caso l’Italia destina al Servizio sanitario nazionale, rispetto al Pil (Prodotto interno lordo), una cifra inferiore rispetto a quasi tutti gli altri paesi occidentali.