Il voto sardo boccia
l’incompetenza al potere

Sardegna, Luigi Di Maio

Luigi Di Maio

Il crollo di Di Maio, la frenata di Salvini, la sorpresa Zedda. Sono i dati emersi dal voto di domenica 24 febbraio in Sardegna che adesso vengono maggiormente sottolineati dai commentatori politici. Ma le elezioni dell’isola hanno dato anche altre indicazioni sul cambio del vento elettorale. Resta solo da capire se il mutamento del quadro politico sardo investirà anche il resto del Paese.

E se il capo politico di Cinquestelle minimizza la sconfitta, sostenendo che il Movimento ha sempre registrato un grande divario tra i risultati delle amministrative e quelli delle politiche, è evidente che la perdita di trecentomila voti su 370 mila in meno di un anno non può essere liquidato così. Anche perché l’erosione dei consensi pentastellati si è registrata in tutte le tornate elettorali successive al trionfo del 4 marzo, fino alle recentissime regionali abruzzesi, dove il M5S ha dimezzato i suoi voti ed è comunque andato meglio rispetto alla Sardegna dove ne ha perduti tre quarti. Nonostante l’imminente arrivo del reddito di cittadinanza che proprio Di Maio ha voluto a tutti i costi. E questo è un altro elemento da valutare attentamente.

Siamo quindi di fronte a una tendenza consolidata: la caduta elettorale del Movimento fondato da Grillo, che – dopo aver promesso il governo del cambiamento – sta dimostrando di non saper governare, a Palazzo Chigi (dove continua a rinviare tutto) e a livello locale dove le cose vanno anche peggio. Basti pensare alla disastrosa esperienza della sindaca Raggi a Roma.

Matteo Salvini

E veniamo a Salvini. Si è impadronito della vertenza nata dalla  protesta dei pastori sardi, si è presentato come l’uomo della provvidenza, ha convocato le parti (senza averne titolo) e ha incautamente promesso di chiudere un accordo lampo sul prezzo del latte. L’obiettivo era quello di dare il colpo di grazia a Cinquestelle e prendersi la guida del centrodestra. Alla fine si è fermato al 12 per cento e non è riuscito a sfondare per liberarsi di Berlusconi e prendersi tutto il centrodestra.

Infine il caso Zedda. Il sindaco di Cagliari si è candidato mettendo insieme le varie anime del centrosinistra. Insomma, con una coalizione “larga” di cui Pd faceva parte senza poter dettare le regole. E i fatti gli hanno dato ragione, perché alla fine il 33 per cento dei voti, viste le condizioni del centrosinistra, può essere considerato un buon risultato. La prova – come ha osservato qualcuno – che le elezioni si possono anche vincere. E anche il Partito Democratico alla fine se ne giova, con quel 13 per cento che gli permette di collocale la sua lista al primo posto, battendo quella targata Lega.

Il buon risultato di Zedda, che ha affrontato la campagna elettorale da solo e senza avere al suo fianco nessun big nazionale, dice anche un’altra cosa: che i sardi adesso chiedono di essere governati da chi è capace di farlo. Non a caso Zedda, che ha dato buona prova come sindaco di Cagliari, domenica 24 ha ottenuto parecchi consensi in più della sua coalizione. Se questo cambiamento investisse il resto del Paese, sarebbe un fatto epocale, perché segnerebbe la fine dell’incompetenza al potere e il ridimensionamento del populismo.