Di Maio e Salvini amano il populismo e Internet. Praticamente una o più volte al giorno si affacciano nel mondo della Rete per comunicare e, secondo i casi, incitare, rincuorare e guidare militanti ed elettori. Usano, in concorrenza e in contrasto tra loro, Twitter e, soprattutto, Facebook.
Spesso utilizzano la diretta video su Facebook addirittura dagli uffici dei rispettivi ministeri su temi particolarmente delicati. Il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico ha parlato al suo popolo cinquestelle rassicurandolo sulla realizzazione del reddito di cittadinanza molto poco amato dal collega di governo Salvini: arriverà «tra inizio e fine marzo…in modo che il 2019 possa diventare l’anno del cambiamento». Luigi Di Maio martella e tranquillizza sulla proposta centrale del M5S per debellare “la povertà”: i fondi ci sono, ci sono ancora tanti sprechi e privilegi da tagliare, «voglio recuperare ancora di più dalle pensioni d’oro, gente che ha rubato il futuro». Il populismo piace. È una melodia per i tanti precari e disoccupati, soprattutto del Sud, colpiti dalla più lunga e dura crisi economica dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Matteo Salvini fa altrettanto, privilegiando però le battaglie per la mano dura contro l’immigrazione illegale e per la sicurezza pubblica, altre due lotte molto apprezzate dagli italiani ma osteggiate dai grillini. Il ministro dell’Interno ha fatto capolino su Facebook mostrando un viso felice per la caduta delle accuse, poste contro di lui per aver bloccato lo sbarco di 150 migranti dalla nave Diciotti. Ha sventolato una busta gialla: la Procura della Repubblica di Catania ha chiesto l’archiviazione delle imputazioni avanzate contro di lui dai pubblici ministeri per sequestro di persona, abuso d’ufficio e arresto illegale. Ha proclamato euforico: «Sono innocente, potevo e dovevo bloccare gli immigrati». Il segretario della Lega ha anche annunciato la manifestazione a Roma dell’8 dicembre a piazza del Popolo ed attaccato la commissione europea per le critiche alla manovra economica del governo giallo-verde: «Nessuna letterina o letterona potrà farci tornare indietro, mai più una Italia in ginocchio». Il populismo rende: la Lega è schizzata dal 17% dei voti delle politiche al 32%-34% rilevato nei sondaggi elettorali.
Di Maio e Salvini lanciano slogan suadenti e, alle volte, verbalmente violenti. Sono intervistati dai giornali, dai tg, dai gr Rai e privati. Intervengono nei comizi e nei programmi televisivi e radiofonici, tuttavia preferiscono Internet: strumento più immediato, potente, capillare; l’ideale per la comunicazione populista. Il web infatti permette di intercettare milioni di persone, sostenitori-tifosi che rilanciano a loro volta i messaggi dei capi nella Rete. Internet, i canali Twitter e Facebook in particolare, permettono la comunicazione diretta tra leader e base eliminando tutte le intermediazioni.
È il populismo del rapporto diretto, carismatico, tra capo e popolo che tende ad eliminare tutte le rappresentanze intermedie. Negli ultimi dieci anni è stato utilizzato con maestria da Beppe Grillo che, da zero, portò il M5S al 25% dei voti nel 2013, consensi saliti addirittura al 32% nelle elezioni politiche del 4 marzo. Partiti, sindacati, associazioni, lo stesso Parlamento, prima tendono ad essere svuotati di funzioni e poteri, per poi perfino essere potenzialmente eliminati dalla scena. È il leaderismo, il vecchio meccanismo populista che si affaccia alla ribalta della storia quando la politica è in crisi, c’è corruzione, imperversa la crisi economica, dominano il caos e la paura.
La contrapposizione tra democrazia diretta e rappresentativa, però, è un meccanismo estremamente pericoloso: in passato ha prodotto dei regimi illiberali e delle dittature con la cancellazione della democrazia, sia quella diretta sia quella rappresentativa. Precarietà e timori del presente e del futuro favoriscono l’affermazione di uomini forti sulla scena politica internazionale. Donald Trump e Vladimir Putin hanno trionfato in America e in Russia quando il ceto medio è stato stordito e impaurito da cambiamenti epocali (negli Usa dalla globalizzazione economica e nel paese degli zar dal crollo dell’Unione Sovietica).
Mentre il presidente statunitense preferisce Twitter per i suoi continui e destabilizzanti interventi, Di Maio e Salvini prediligono Facebook. Prima le sortite erano indirizzate contro “i vecchi partiti” e contro “i poteri forti”, da qualche tempo invece sono messaggi in competizione, anche con toni di scontro tra loro. Imprimono parole d’ordine e galvanizzano le rispettive basi. È un gioco rischioso per “il governo del cambiamento” scosso da indirizzi contrastanti. Sia il capo politico del M5S sia il segretario della Lega puntavano a diventare presidente del Consiglio, ma si sono elisi a vicenda ed è finita in parità: sono diventati due vice del premier Giuseppe Conte. La gara tra i due dioscuri si è accesa: potrebbe culminare in una nuova sfida nelle elezioni politiche anticipate, oltre che nel voto a maggio per le europee. Salvini parte in vantaggio: i sondaggi lo danno in sorpasso su Di Maio in netta discesa.