Ipoteca delle elezioni
sulla vendita Alitalia

Il leghista Salvini rispolvera “l’italianità” e non vuole che Alitalia venga “svenduta a stranieri”. I sindacati sperano che torni azienda pubblica. Il ministro Calenda sostiene invece che «da sola, così com’è, non sta in piedi» e perciò dopo le elezioni «verrà venduta». Già! Ma a chi?

Vendita Alitalia rimandata, Matteo Salvini

Matteo Salvini

I tre commissari straordinari nominati l’anno scorso dopo la resa di Ethiad, a gennaio avevano praticamente chiuso con la Lufthansa. Secondo il quotidiano economico tedesco Handelsblatt, che citava «fonti interne al vertice» della compagnia tedesca, «dopo l’uscita dalla partita per l’acquisto dell’austriaca Niki, Alitalia era diventata per Lufthansa un importante obiettivo strategico». Il progetto era di acquistare la parte volo e di trasformarla in una sussidiaria, una compagnia regionale con una flotta di 90 aerei e 6.000 dipendenti. Cioè duemila in meno.

Il problema era che duemila esuberi (ma alla fine sarebbero stati 1500), in piena campagna elettorale per il voto del 4 marzo, avrebbero rappresentato un rischio troppo grande per il Pd e i suoi alleati di governo. Un regalo ai partiti di opposizione che avrebbero usato i tagli occupazionali come una clava. Per questa ragione si decise di rinviare l’accordo a dopo le elezioni.

Carlo Calenda

Ma adesso che il voto è questione di giorni è saltata fuori una cordata anti-Lufthansa. Una cordata transatlantica (anglo-franco-americana) costituita da Easyjet, Air France, Delta e dal fondo Usa Cerberus. Giovedì 22 febbraio la troika commissariale (Gubitosi, Laghi, Paleari) ha incontrato i rappresentanti del nuovo raggruppamento. Il comunicato finale ha definito il colloquio “positivo”. Ma non c’è stata alcuna proposta precisa, tantomeno economica. Ovviamente – hanno fatto sapere i commissari – in attesa delle elezioni.

Nulla di nuovo. Da più di mezzo secolo, ogni volta che si avvicinano le politiche, l’Alitalia finisce nella campagna elettorale. Succedeva quando era controllata dall’Iri e rappresentava un importante serbatoio di voti per la Dc e per i suoi alleati. È successo quando è passata al Tesoro, che ha dovuto gestirne il progressivo declino e ripianare i bilanci in rosso crescente. Ma è successo anche quando lo Stato padrone ha detto basta decidendo di passare la mano ai privati.

Aereo Easyjet

Romano Prodi, a pochi giorni dalle elezioni del 2008, dopo un anno di tentennamenti, aveva chiuso con l’Air France. Ma Silvio Berlusconi, sondaggi alla mano, aveva issato la bandiera dell’italianità sbarrando il passo agli “invasori” di Parigi. L’Air France ritirò la sua proposta d’acquisto, Berlusconi vinse le lezioni e lanciò un appello agli “amici imprenditori” per la formazione di una “cordata italiana” che rilevasse la compagnia aerea nazionale. Arrivarono i “capitani coraggiosi” guidati da Colaninno e nacque Cai, che rilevò l’azienda scaricando tutti i debiti sullo Stato e dimezzando il personale. Fu un disastro. Dopo cinque anni arrivò il commissario fallimentare. Poi il passaggio agli arabi di Ethiad, nuovo fallimento, nuovi commissari straordinari e nuova ricerca di un acquirente.

Alla fine, ed è storia di questi ultimi mesi, si fa avanti la Lufthansa che fa la sua proposta a gennaio. Ma il 4 marzo si vota e si rinvia l’accordo.

E così l’ex compagnia nazionale di bandiera torna prepotentemente in campagna elettorale. Salvini tira fuori dalla naftalina la bandiera dell’italianità e tornano perfino i rumors su un intervento delle Ferrovie dello Stato…