Emigrati, emigrazione sono due spaventose parole che parevano abolite dalla lingua italiana con gli anni del boom economico. Invece sono riemerse con drammatica durezza: i disperati africani e mediorientali sbarcano in Italia, ma gli italiani emigrano verso tutti i continenti.
Emigrazione, lo spartiacque è il 2008, l’anno dell’inizio della Grande crisi internazionale che ha colpito in particolare il Belpaese. Enrico Pugliese lo ha argomentato al convegno “Emigrare in tempo di crisi”: la svolta è avvenuta «a partire dagli anni della crisi e della recessione». Dalla discussione svoltasi ieri nella sala Zuccari a Palazzo Giustiniani, sede del presidente del Senato, organizzata dal Faim (Forum associazioni italiane nel mondo), sono emersi dati clamorosi: soltanto negli ultimi due anni (2015-2016) sarebbero emigrate circa 600 mila persone, in molti casi intere famiglie. I dati del cambio di residenza non sono realistici, molte persone lasciano l’Italia senza formalizzare l’espatrio all’anagrafe.
Emigrazione, sfatato il mito della fuga targata “giovani” e “cervelli”. In realtà la fuga coinvolge tutti: persone giovani, mature, anziane; lavoratori con alte e basse qualifiche; “cervelli” e “braccia”. Espatriano ricercatori, ingegneri, tecnici, architetti, biologi, medici ma anche operai, muratori, camerieri, addetti alle pulizie. La fuga è verso la Germania, la Francia, l’Inghilterra, la Spagna, la Svizzera. Ma le destinazioni sono anche l’Australia, gli Stati Uniti e il Sud America. Sono i tradizionali paesi dell’emigrazione italiana dei nostri nonni e padri. Fu un enorme esodo da brivido: sembra che all’estero vivano oggi circa 60 milioni di persone di origine italiana, la stessa cifra degli italiani abitanti nella Penisola.
Si capisce meglio tutto se si guarda al paradosso della Lombardia. La regione più sviluppata e più ricca d’Italia è quella dalla quale parte il maggior numero di persone e di giovani. L’Italia si impoverisce ulteriormente per la partenza di giovani e lavoratori con alte e diverse competenze professionali. Partono sia i laureati qualificati, che vanno ad insegnare in prestigiose università europee ed americane, sia gli operai rimasti disoccupati per la chiusura di tante fabbriche, grandi e piccole. I meridionali espatriano di meno anche perché, in gran parte, si trasferiscono nelle regioni settentrionali italiane.
Ci sono tante differenze tra chi emigrava alla fine del 1800 e nella prima metà del 1900 e chi abbandona oggi l’Italia, ma tra i due fenomeni c’è una sostanziale “continuità”. Disoccupazione, precariato, sotto occupazione, povertà spingono ad emigrare oggi come allora. Certo non si parte più con la valigia di cartone ma con il trolley, non si sale più su navi e treni ma sugli aerei, tuttavia le caratteristiche sono molto simili. In molti non usano il termine “emigrazione” per definire il fenomeno, ma “mobilità internazionale” quasi per attenuare l’impatto di un antico, drammatico termine. Ma di emigrazione si tratta perché la mobilità prevede una libera scelta di trasferimento mentre in genere l’espatrio è determinato dalla necessità di trovare un lavoro.
Le condizioni degli emigrati in cerca di occupazione spesso sono pesanti, di sfruttamento e di lavoro nero. Spesso i proletari espatriati non parlano la lingua né conoscono gli usi dei paesi ospitanti e molte volte anche i lavoratori intellettuali non fanno fortuna. Franco Narducci ha parlato di storie «di clandestini italiani a New York, di camerieri e pizzaioli laureati a Londra, Berlino, Hannover». Ha aggiunto: in Germania «nel marzo 2017 il tasso i disoccupazione tra i tedeschi era il 5,9%, tra gli stranieri era del 15,5%». Di qui la necessità di rafforzare i patronati all’estero per garantire «più tutele, più diritti».
Nella sala Zuccari già soffia aria di elezioni in vista del voto per le politiche della prossima primavera. Il senatore Claudio Micheloni, Pd, eletto nella circoscrizione estera europea, ha indicato alcuni emendamenti alla manovra economica del governo all’esame di Palazzo Madama ed ha invitato «a non farsi strumentalizzare dalle tante false promesse da campagna elettorale».
Rino Giuliani è soddisfatto dei risultati del convegno. Il vicepresidente dell’Istituto Fernando Santi e portavoce del Faim prima ha tirato un sospiro di sollievo: «La sala è piena nonostante lo sciopero degli autobus!». Poi ha indicato due obiettivi: «Vanno aiutati e tutelati gli italiani all’estero e deve ripartire una politica di sviluppo e di rilancio dell’occupazione in Italia».