Lo stadio di Tor di Valle appare, scompare, riappare. Virginia Raggi si gioca la testa sul nuovo impianto di calcio della Roma. Prima approvato dal sindaco della capitale Ignazio Marino, Pd, con una delibera nel dicembre 2014; poi bocciato dal M5S e dalla Raggi nel 2016; poi “benedetto” dalla prima cittadina cinquestelle in una versione riveduta e corretta il 24 febbraio 2017. Adesso, quando sembrava fatta, il progetto torna in bilico, cammina su una strada minata ad ogni passo. Beppe Grillo, pur rimproverandole degli errori, finora ha sempre difeso la sindaca di Roma.
La giunta comunale della metropoli capitolina il 6 giugno scorso ha certificato “il pubblico interesse” e l’impianto di calcio della Roma è riemerso dagli abissi. Non è stata una decisione facile. L’amministrazione grillina della capitale, superando forti contrasti interni, ha approvato la delibera che ha assegnato “il pubblico interesse” al progetto dello stadio fortemente rivisto e ridimensionato nelle dimensioni e nelle cubature di cemento. È stato un passaggio fondamentale sulla strada per dare il disco verde all’accordo raggiunto lo scorso 24 febbraio tra Virginia Raggi e l’Associazione sportiva Roma per la costruzione del nuovo impianto di pallone. Tuttavia gli ostacoli da superare restano tanti ed insidiosi. Anzi, ne sono sorti di nuovi. Sono macigni politici, ambientali e normativi.
Primo ostacolo. Il passaggio chiave ci sarà quando l’assemblea comunale della città eterna, probabilmente, giovedì 15 giugno, voterà la delibera. Non è detto che tutto fili liscio. Il M5S ha una larghissima maggioranza nell’aula Giulio Cesare, ma una parte dei militanti pentastellati continua a contestare il progetto di “cementificazione” a Tor di Valle e potrebbero arrivare brutte sorprese per la sindaca.
Già è scoppiata una “ brutta grana” e i cinquestelle hanno perso un voto. La consigliera comunale grillina Cristina Grancio l’altro ieri è stata sospesa dal M5S, dopo aver lasciato le commissioni Urbanistica-Trasporti, riunite i seduta comune, prima del voto sull’impianto di calcio della Roma. La dissenziente ha spiegato la spaccatura su Facebook. La sospensione è scattata, ha scritto, «per aver espresso in commissione perplessità finanziario-giuridiche e sollecitato chiarimenti». La rottura, per ora contenuta, è la spia di un perdurante dissenso interno. Quando l’assemblea del Campidoglio voterà tra pochi giorni la delibera licenziata dalla giunta, potrebbe riesplodere la rivolta già verificatasi nei mesi scorsi (vedi articolo di Sfoglia Roma) e superata con grande difficoltà dai pentastellati.
Secondo ostacolo. Assieme al taglio delle cubature immobiliari c’è quello delle opere pubbliche. Anzi è un crollo: gli investimenti per le infrastrutture pubbliche calano dai 270 milioni di euro della delibera Marino agli attuali 120 milioni. Mancano all’appello le strade per l’accesso e il deflusso delle macchine dei tifosi e manca il ponte dei Congressi, struttura essenziale alla praticabilità del nuovo progetto di cubature di cemento dimezzate. Il M5S ha voluto cancellare il ponte di Traiano, previsto dal piano originario, proprio perché era già predisposto il ponte dei Congressi, disegno elaborato dal governo nazionale e già finanziato con 145 milioni di euro di fondi pubblici. Ma l’opera per ora è sospesa per il “no” del Consiglio superiore dei lavori pubblici.
Terzo ostacolo. La Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per il comune in Roma ha chiesto la tutela delle tribune dell’ippodromo di Tor di Valle, da anni chiuso, per il grande valore architettonico. Problemi e ostacoli si moltiplicano.
Non a caso Virginia Raggi si è mostrata fiduciosa e nello stesso tempo cauta. La sindaca di Roma ha lanciato un appello, all’esterno e all’interno dei cinquestelle, ad andare fino in fondo: «Mi aspetto di andare avanti secondo gli impegni che abbiamo preso e concordato». Rispetto al progetto originario, approvato dalla giunta di Ignazio Marino nel dicembre 2014, cambia molto: la capienza dello stadio cala a 50 mila spettatori; le tre torri per uffici, negozi ed alberghi alte fino a 220 metri spariscono; le cubature da costruire vengono dimezzate. Un occhio attento è alle opere pubbliche, anch’esse ridimensionate. Ci saranno due ponti per pedoni e ciclisti, sorgerà un parco fluviale video sorvegliato, verrà messa in sicurezza la zona per evitare gli allagamenti del Tevere, l’Ostiense e la via del Mare verranno unificate nel tratto tra il Raccordo anulare e viale Marconi, sarà potenziata la metropolitana tra Roma e il Lido di Ostia.
Il Campidoglio, con una nota stampa dal carattere burocratico, ha elencato le scelte legate alla salvaguardia dell’ambiente: «L’eliminazione delle tre torri, la realizzazione di edifici a basso impatto ambientale realizzati con alti standard energetici, il superamento del rischio idrogeologico, ma anche il significativo miglioramento della mobilità e del traffico viabilistico di ingresso-uscita dal centro città».
Il rispetto del “pubblico interesse” non sarà semplice. Così il Campidoglio, per cautela, ha introdotto una clausola di dissolvenza: «Il mancato rispetto anche di una sola delle condizioni necessarie comporterà la decadenza del confermato pubblico interesse».
Ottimismo e prudenza camminano insieme per Virginia Raggi. La sindaca di Roma e il presidente americano dell’Associazione sportiva Roma si scrutano con attenzione. James Pallotta preme per la costruzione in tempi rapidi dell’agognato stadio. A fine maggio, stanco di aspettare, aveva lanciato un ultimatum: «Il nuovo stadio dovrebbe essere pronto nel 2020 e se non sarà così ci sarà un nuovo proprietario, perché io non sarò più da queste parti e tornerò a casa».
La partita è difficile, difficilissima. Ha valenze politiche, sportive, ambientali, urbanistiche, economiche. Quattro mesi fa, quando sembrò definitivamente affondare il progetto di stadio della Roma, circolò la notizia di una possibile causa di Pallotta contro il Campidoglio con una colossale richiesta di risarcimento danni: un miliardo di euro. Anche le carte bollate sono sempre pronte. Succede così da cinque anni. Ancora non si vede all’orizzonte il giorno nel quale verrà posata, se succederà, la prima pietra nell’area dell’ex ippodromo chiuso da tempo.