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“spari” sul Senato

Moscopoli, l'ingresso del Senato

L’ingresso del Senato

Giuseppe Conte parla al Senato su Moscopoli al posto di Matteo Salvini. Il presidente del Consiglio svolge un’informativa sui supposti fondi russi alla Lega sui quali indaga la magistratura. Invece il segretario del Carroccio, l’ex segretario del Pd Renzi e il capo politico del M5S Di Maio si tengono lontani da Palazzo Madama, e parlano in tre distinti interventi in diretta video su Facebook.

Mercoledì 24 luglio è stato un giorno surreale, verrà ricordato come  il salto di qualità nella corsa alla delegittimazione del Parlamento. Appena comincia a parlare Conte, scoppia la prima grana: escono dall’aula del Senato i cinquestelle. Non si era mai vista una scelta del genere.

Moscopoli, Giuseppe Conte

Giuseppe Conte

In passato erano i parlamentari delle opposizioni ad uscire in segno di protesta quando parlava un presidente del Consiglio, invece questa volta sono i senatori cinquestelle, la forza principale della maggioranza di governo. L’abbandono dell’assemblea di Palazzo Madama pare l’apertura di una crisi di governo per il sì del presidente del Consiglio alla Tav Torino-Lione. Ma subito i grillini smentiscono: la protesta è contro Salvini, vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno, perché non è stato lui a parlare su Moscopoli. Non è poco nemmeno questa motivazione. Comunque niente crisi.

Conte scarica Gianluca Savoini, il leghista accusato di corruzione internazionale per aver trattato a Mosca su supposti fondi russi in favore della Lega. Ha precisato: Savoini «era presente a Mosca il 15 e 16 luglio 2018 a seguito del ministro Salvini». Ha aggiunto: il 4 luglio 2019 è stato invitato alla cena a Roma con Vladimir Putin su richiesta di Claudio D’Amico, consigliere di Salvini. Ha accennato anche alla possibilità di tornare in Senato «nel caso maturino le condizioni per una cessazione anticipata del mio incarico».

Luigi Di Maio e Matteo Salvini

Di Maio, Renzi e Salvini parlano fuori del Senato. Dicono la loro senza contraddittorio tramite un video su Facebook. Il capo del M5S ha confermato il sostegno al presidente del Consiglio: «Ho piena fiducia in Conte». Tuttavia ha contraddetto Conte: «Il M5S resterà coerente e resterà sempre No Tav».

Renzi oscura Zingaretti e picchia su tutti: Conte, Di Maio, Salvini. Contesta in particolare il segretario della Lega perché vuole querelare chiunque l’accusi di aver preso dei soldi dai russi: «Se è in buona fede deve querelare domattina Gianluca Savoini» perché è accusato di aver trattato con dei russi i supposti finanziamenti al Carroccio. Conclusione di Renzi: «O querela il suo braccio destro o Salvini sta nascondendo qualcosa». Il Pd presenterà una mozione di sfiducia contro Salvini.

Il segretario della Lega nega l’esistenza di Moscopoli. Ha risposto con toni ironici, parlando al suo elettorato come hanno fatto Di Maio e Renzi: «Io ero a lavorare mentre qualcuno chiacchierava di aria fritta e gli amici del Pd urlavano chiedendo la testa di Salvini. A loro mando un bacione». Teme «giochetti di palazzo», la nascita di maggioranze alternative pilotate da Conte, «raccolte come funghetti in Trentino, magari recuperando Scilipoti».

Moscopoli, Matteo Renzi

Matteo Renzi

La retorica populista divampa aumentando la confusione politica tra la maggioranza e l’opposizione e all’interno dello stesso governo. Per ora non c’è la crisi perché, nonostante i contrasti laceranti, Di Maio non vuole rischiare le elezioni politiche anticipate dopo il flop accusato alle europee di maggio. Salvini, che pure vorrebbe il voto, è impantanato in Moscopoli. Renzi, non più né segretario del Pd né presidente del Consiglio dopo ripetute disfatte elettorali, è intento a fare il leader ombra dei democratici. Zingaretti, segretario del Pd da pochi mesi, non controlla i gruppi parlamentari in buona parte renziani. Forse per questo sollecita il voto anticipato.

Il Parlamento conta sempre di meno, ma le sorprese sono sempre in agguato. Finita l’era delle leggi elettorali maggioritarie è ricominciata la stagione del proporzionale: i parlamentari sono sempre meno ligi alle direttive dei leader. La disciplina di partito poi, in caso di elezioni anticipate, rischierebbe di saltare perché la maggioranza dei deputati e dei senatori teme la mancata rielezione.