Il governo cancella
la parola “recessione”

“Recessione tecnica”. Sabato 19 gennaio il verdetto della Banca d’Italia ha gelato l’entusiasmo ostentato appena due giorni prima dal governo gialloverde per il varo del decreto su reddito di cittadinanza e “quota 100”.

recessione tecnica, Ignazio Visco, governatore della Banca d'Italia

Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia

«Vedo solo stagnazione» aveva detto domenica 13 gennaio il ministro  dell’Economia e delle Finanze Giovanni Tria subito dopo la diffusione degli ultimi dati Istat sul crollo della produzione industriale. Di Maio aveva fatto anche di più: trasformatosi in illusionista, aveva annunciato l’arrivo di un nuovo “boom” grazie alle autostrade digitali. Gli sfottò piovuti da ogni parte, lo avevano poi costretto a correggere il tiro e a mitigare l’ottimismo, ma dopo il verdetto di Bankitalia, il vicepremier non ha esitato a liquidare come “apocalittiche” le previsioni economiche di Visco.

A ben guardare, le misurate esternazioni dell’economista Tria e la propaganda populista del capo politico di Cinquestelle obbediscono alla stessa regola: la messa al bando di tutte le parole che contrastano con la “narrazione” del governo gialloverde. E “recessione” è al primo posto, Con buona pace della realtà, di tutte le previsioni della Banca d’Italia, degli osservatori economici internazionali che per quest’anno assegnano all’Italia un incremento di Pil attorno allo 0,5 per cento. Meno della metà di quello su cui è stata costruita la manovra del governo. Tradotto in parole povere, significa che alla fine mancheranno all’appello circa sette miliardi di euro. Quindi bisognerà rifare tutti i conti del Bilancio dello Stato. Anche perché, nel corso di quest’anno, il Tesoro dovrà rifinanziare circa 260 miliardi di nuovi titoli.

Luigi Di Maio e Matteo Salvini

Ma c’è da scommettere che di tutto questo Lega e Cinquestelle non vorranno parlare almeno fino a maggio prossimo, quando sperano d’incassare il bonus elettorale delle due misure bandiera: il reddito di cittadinanza e i pensionamenti anticipati (rispetto alla legge Fornero) grazie all’introduzione della “quota 100”.

«Il governo mantiene le promesse» ha dichiarato il premier Conte giovedì il 17 gennaio, subito dopo il varo del decreto. Di Maio, che ama confrontarsi con la storia, ha definito il reddito di cittadinanza (cavallo di battaglia del M5S) come «il più grande investimento in capitale umano della storia italiana». Quanto a Salvini ha presentato “quota 100”, la misura bandiera della Lega, come se si trattasse di una televendita: «Abbiamo messo sul piatto soldi veri… non ci sarà nessuna penalizzazione… I pensionati prenderanno esattamente quello che gli spetta con il contributivo».

Giovanni Tria

Quello che il leader della Lega ha evitato di spiegare è che chi sceglierà la “quota 100” non avrà la stessa pensione che avrebbe preso con la Fornero. Per la semplice ragione che l’assegno viene calcolato sulla base dei contributi versati durante l’attività lavorativa. Quindi, siccome a 62 anni uno ha versato meno contributi che a 67, percepirà una pensione più bassa. Secondo il conti fatti alla Camera dai tecnici dell’Ufficio parlamentare del bilancio, la differenza sarà fino al 30 per cento.

Inutile aggiungere poi che la legge Fornero non è stata abolita e che “quota 100” è una misura “sperimentale” con un termine di tre anni. Discorsi analoghi si possono fare per il “reddito di cittadinanza”, sussidio che sarà legato a tutta una serie di paletti e limitazioni. Per non parlare della clausola di salvaguardia imposta da Bruxelles che prevede il blocco dei fondi stanziati in caso di sforamento dei conti.

Ma le due misure partiranno ad aprile, cioè a un mese dalle elezioni europee e a cavallo di una serie di elezioni amministrative in Italia. È chiaro che rappresenteranno il perno della campagna elettorale gialloverde. Già, perché per Salvini e Di Maio l’importante è fare un altro pieno di voti, consolidando  il potere di Lega e Cinquestelle. Poi si vedrà…