Il Portogallo rifiorisce
Vince la sinistra unita

Prima la sede dell’Agenzia europea del farmaco, che doveva essere assegnata a Milano e invece è finita ad Amsterdam grazie a un dubbio sorteggio. Adesso è la volta della presidenza dell’Eurogruppo (il vertice dei ministri delle Finanze Ue) che poteva andare a Pier Carlo Padoan e invece è stata assegnata al portoghese Mario Centeno. Se volevamo conoscere il peso attuale del nostro Paese dentro Eurolandia, la risposta è tutta in questo doppio Ko.

E poco importa se Palazzo Chigi ha subito diffuso una nota di “soddisfazione” per la nomina di Centeno sottolineando che il governo di Roma lo ha sostenuto dopo il passo indietro di Padoan.

Centeno, Pier Carlo Padoan

Pier Carlo Padoan

Sta di fatto che Padoan e Centeno avevano gli stessi requisiti. Entrambi docenti universitari, economisti e ministri tecnici. Entrambi politicamente progressisti. Sembravano perfetti per un incarico che, scaduto il mandato del laburista-rigorista olandese Dijsselbloem, doveva andare a un presidente in grado di rappresentare  il sud dell’Unione e la famiglia socialdemocratica europea.

Lanciato alla guida dell’Eurogruppo dal francese Pierre Moscovici («Padoan ha tutte le qualità per l’incarico»), il nostro ministro è rimasto in pole position per un paio di giorni. Poi è stato bruciato dal premier Gentiloni: «Padoan ha tutte le qualità e gode di ampia stima internazionale, ma il presidente dell’Eurogruppo è stato finora il ministro in carica del suo Paese e in Italia si vota fra pochi mesi».

Insomma, candidatura perfetta, ma resa impossibile dalla fine (primavera 2018) dell’attuale governo italiano. Se la motivazione del passo indietro è realmente questa, rimane da spiegare l’endorsement di Moscovici, che non è uno qualsiasi, ma un politico socialista di lungo corso e commissario in carica degli Affari economici Ue.

Alla fine, la guida dell’Eurogruppo è andata a Centeno, sostenuto fino in fondo dal premier Antonio Costa al quale non è mai venuto in mente di dire che in Portogallo si voterà nel 2019, quindi prima della scadenza del nuovo presidente dell’Eurogruppo che dovrebbe restare in carica per due anni e mezzo.

Antonio Costa

La verità è che Antonio Luis Santos da Costa, segretario generale del Partito Socialista portoghese e primo ministro da novembre 2015, se lo poteva permettere. Il piccolo Portogallo oggi rappresenta un laboratorio al quale guarda con attenzione la sinistra che in tutta Europa sta andando in frantumi. Due anni fa è riuscito a formare un governo socialista con il sostegno del Partito comunista, degli ecologisti e della sinistra radicale. Un vero e proprio laboratorio della sinistra plurale. Altro che “Liberi e uguali”

Il cammino non è facile, ma il premier tiene la barra ferma in direzione di una concreta politica socialista e riformista. Il suo governo ha alzato il salario minimo, ha portato a 35 ore la settimana lavorativa nell’amministrazione statale, ha varato un piano pluriennale per la stabilizzazione dei precari del pubblico impiego. Ha alzato le tasse sulle case dei ricchi e ha evitato il fallimento della compagnia area nazionale (Tap) facendo intervenire lo Stato al 50 per cento. Eppure, con buona pace dei rigoristi, il Pil continua a crescere. E così il Portogallo si è appena conquistato gli elogi dell’insospettabile Fondo monetario internazionale. A settembre, dopo cinque anni e mezzo, è uscito dal limbo dei paesi con titoli spazzatura mentre Standard e Poor’s portava il rating da BB a BBB.

E gli elettori? Invece di disertare le urne o premiare le destre e i populisti, in Portogallo stanno rafforzando la sinistra che a ottobre ha stravinto le elezioni amministrative conquistando più della metà dei 308 comuni in cui si votava.