Misteri Toni-De Palo
007, falangisti, Olp

Italo Toni e Graziella De Palo nel settembre del 1980 scomparvero misteriosamente a Beirut, inghiottiti nel nulla. Non si seppe più niente di loro. Probabilmente sono stati uccisi, ma i loro corpi non sono mai stati ritrovati, I due giornalisti erano andati nella capitale libanese per scrivere degli articoli sulla guerra civile che dilaniava l’ex Svizzera del Medio Oriente. Marcello D’Angelo, giornalista e amico dei due inviati, ricostruisce l’incredibile vicenda ancora piena di tanti punti oscuri.

 

Italo Toni e Graziella De Palo

Italo Toni e Graziella De Palo

Che fine hanno fatto Italo Toni e Graziella De Palo? Più tardi, ormai fuori dal “Servizio” e prossimo alla morte, il colonnello Giovannone cambierà completamente versione. Dice a verbale l’uomo del Sismi durante l’interrogatorio: «La mia convinzione è che i due giornalisti siano stati catturati o da delinquenti comuni politicizzati o da un gruppuscolo dell’area progressista libanese filopalestinese o filosiriana, in passato ideologicamente vicino al Fplp di George Habbash. Gruppuscoli – non erano pochi a quel tempo e in quelle zone – che operavano con autonomia nell’ambito del territorio in cui agivano. Deve essere accaduto qualcosa per cui i due sono stati trattenuti. Non si dimentichi che essi erano andati due volte a Zhale, capoluogo della Bekaà dove si svolge notoriamente un intenso traffico di droga… Io, dunque, non ho mai avanzato ipotesi che i due giornalisti fossero scomparsi per mano o con la complicità dei falangisti che, tuttavia, ritengo fossero venuti a conoscenza di quanto era loro capitato» (interrogatorio reso al giudice istruttore Renato Squillante il 14 febbraio 1983).

Ma allora chi era ad accreditare autonomamente la pista falangista? Forse Santovito? Nello stesso interrogatorio Giovannone arriva a fornire il nome del responsabile (Jindawi) del gruppuscolo che avrebbe operato il sequestro, ma aggiunge: i servizi segreti dell’Olp, «che avevano rintracciato e interrogato Jindawi, dichiararono la sua estraneità alla vicenda». Lo stesso informatore di Giovannone (Kalifha, aiutante del capo dei servizi di sicurezza libanesi), nel novembre del 1980 gli annuncia l’imminente rilascio dei due giornalisti. «E questo spiega – aggiunge Giovannone nel corso dello stesso interrogatorio – perché da Roma senza che lo chiedessi il 21 novembre, viene inviato a Cipro un aereo del Servizio». È probabilmente lo stesso aereo sul quale si trovava Francesco Pazienza, per conto di Giuseppe Santovito, l’allora capo del Sismi.

A parte le palesi contraddizioni tra diverse istituzioni e la scontata ritrosia alla collaborazione da sempre manifestata dalle autorità libanesi, all’epoca completamente soggiogate dai palestinesi, nella vicenda si inseriscono svariati episodi di depistaggio, di menzogne e di minacce.

Le decisioni del magistrato Renato Squillante

Le decisioni del magistrato Renato Squillante

La più eclatante è quella messa in atto, nell’ottobre 1980, da Edera Corrà, un personaggio con velleità giornalistiche che si trova a passare alcuni giorni a Beirut in compagnia di un paio di amici, commercianti di dubbia fama; la donna, che pare legata ad ambienti della massoneria, come d’altronde il suo accompagnatore, Rolando Lattanzi – che aderisce alla loggia Ara Pacis in piazza del Gesù a Roma – venne casualmente a sapere, da fonti libanesi vicine ai maroniti, che i cadaveri dei due giornalisti italiani si trovavano all’ospedale americano di Beirut.

La Corrà che alloggiava all’hotel Monte Mar, nella zona falangista della capitale libanese (nello stesso albergo si tentò di far credere avesse alloggiato anche Graziella De Palo – ndr), si recò dall’ambasciatore D’Andrea per riferirgli quanto appreso e chiese di effettuare un sopralluogo assieme a lui. D’Andrea si recò all’ospedale, ma solo. Controllò le schede (schede successivamente acquisite dalla magistratura italiana, ma nel caos libanese di quegli anni chi può giurare sulla loro autenticità?) delle persone morte, ma non trovò alcuna donna. Gli fu inoltre assicurato che tutti i cadaveri presenti in quel momento appartenevano ad arabi.

Senza poter controllare di persona D’Andrea rientrò in ambasciata. Alla Corrà però le stesse fonti dissero che i cadaveri erano stati fatti sparire subito dopo la visita dell’ambasciatore. Un esponente di primo piano dell’Olp, Abu Ayad, arrivò addirittura ad accusare D’Andrea dell’occultamento dei cadaveri.

Generale Giuseppe Santovito

Generale Giuseppe Santovito

Anche Giuseppe Santovito intervenne sul tema. Affermò ripetutamente – per poi ritrattare di fronte all’accusa di falsa testimonianza – di essersi recato nel novembre del 1980, all’ospedale americano e di aver constatato personalmente l’inesistenza dei cadaveri dei due giornalisti italiani.

Peccato che in quell’ospedale Santovito non mise mai piede. Racconta il magistrato Renato Squillante citando le parole dell’ambasciatore D’Andrea: «Allorché io (D’Andrea – ndr) ebbi l’impressione, e la comunicai a Roma, di essere finalmente vicino alla verità, perché il capo della polizia segreta siriana Johnny Abdo me l’aveva promessa in un incontro risolutivo entro 48 ore, il Sismi mi fece trasmettere dal ministero degli Esteri l’ordine di sospendere tutte le indagini. Subito dopo giungeva a Beirut il generale Santovito e le indagini presero, da quel momento, una direzione che è quella ben nota, e io trovai le porte chiuse presso i miei interlocutori».

 

Quarto articolo – Segue