Il rebus Toni-De Palo
“Se non torniamo,
venite a cercarci”

Italo Toni e Graziella De Palo nel settembre del 1980 scomparvero misteriosamente a Beirut, inghiottiti nel nulla. Non si seppe più niente di loro. Probabilmente sono stati uccisi, ma i loro corpi non sono mai stati ritrovati. I due giornalisti erano andati nella capitale libanese per scrivere degli articoli sulla guerra civile che dilaniava l’ex Svizzera del Medio Oriente. Marcello D’Angelo, giornalista e amico dei due inviati, ricostruisce l’incredibile vicenda ancora piena di tanti punti oscuri.

Italo Toni e Gabriella de Palo

Italo Toni e Gabriella De Palo

Il primo settembre 1980 Italo e Graziella si presentano all’ambasciata italiana a Beirut, manifestano l’intenzione di recarsi nel Libano del Sud sotto la guida del Fronte democratico (Fdlp) di Hawatmeh. Proprio lì si concentrano gli sforzi dei palestinesi nel tentativo di bloccare la possibile, poi effettivamente avvenuta, invasione israeliana. Prima di andarsene, quasi fosse una battuta, – e qualcuno la interpreta proprio così – dicono al consigliere Tonini: «Se fra tre giorni non torniamo veniteci a cercare».

Evidentemente c’è già qualcosa che li preoccupa, un gesto del genere non è proprio nelle corde e nel carattere di Italo. Dal loro arrivo a Beirut, infatti, i due non si erano mai fatti vivi con l’ambasciata italiana. Perché farlo proprio in quell’occasione? Quale pericolo avevano iniziato a presagire? Forse proprio la trappola che li avrebbe condotti alla morte.

Da quel giorno i due giornalisti scompaiono. Scattano, anche se in ritardo, le prime ricerche (i genitori di Graziella denunciano la scomparsa della figlia il 15 settembre, quando non la vedono rientrare). L’ambasciatore italiano a Beirut, Stefano D’Andrea si attiva immediatamente e gli si affianca il responsabile del Sismi Stefano Giovannone. Ma i rapporti tra i due sono pessimi e il segretario generale della Farnesina, Malfatti di Montetretto, non la vede allo stesso modo del suo ambasciatore che nel telegramma cifrato del 17 ottobre scrive: «Gli specialisti libanesi seguono una traccia precisa: rapimento da parte del Fatah su richiesta siriana. Mi sono stati indicati i nomi dei membri del Fatah che avrebbero condotto l’operazione». Il ministero degli Esteri ignora completamente l’indicazione.

Arnaldo Forlani

Arnaldo Forlani

Tutti i messaggi in codice, in partenza e in arrivo, dalla e per la rappresentanza diplomatica italiana a Beirut, vengono intercettati e consegnati all’uomo del Sismi Stefano Giovannone che conduce una sua personale inchiesta. Il decrittatore dei messaggi Domenico Balestra che collabora con Giovannone, alla fine sarà l’unico a subire una condanna. A Roma, intanto, prende corpo la pista falangista, nonostante che, almeno all’interno del Cesis (l’allora organismo di coordinamento tra i servizi di sicurezza), dovesse apparire evidente la discrepanza tra i rapporti dell’ambasciatore (il segretario generale della Farnesina faceva parte di diritto del Cesis) e gli oltre 110 inviati al Sismi del generale Santovito, da parte del colonnello Giovannone, che accreditavano come responsabili del rapimento i falangisti.

Un contrasto che porterà quasi subito al trasferimento dell’ambasciatore D’Andrea in un Paese scandinavo. La pista siro-palestinese è presto abbandonata, resta in piedi quella falangista suggerita e sostenuta dal Sismi e dal segretario generale del ministero degli Esteri. Tanto che è l’allora presidente del Consiglio Arnaldo Forlani, informato sugli eventi dall’allora responsabile del Cesis Walter Pelosi, a comunicare alla famiglia De Palo, presente anche il generale Santovito: «Signora, sua figlia è viva, prigioniera dei falangisti. Sa… quelli si dicono cristiani, ma non lo sono… comunque blandendo e minacciando riusciremo a farcela ridare».

 

Terzo articolo – Segue