Attentato dei Brics
al “re dollaro”

Stiamo assistendo in questi giorni a preoccupanti scossoni degli equilibri mondiali. Una situazione segnata da proclami e minacce, nella quale alleanze consolidate vengono messe in discussione, si iniziano guerre commerciali con il protezionismo dei dazi, si avanzano ipotesi di occupazione di altri paesi, si proclama l’abolizione di tutte le regole, considerate ormai il principale ostacolo allo sviluppo, e si afferma la validità di una unica e disgraziata regola: la prevalenza del più forte sul più debole.

Elon Musk e Donald Trump

Si tratta di fenomeni che abbiamo già visto nel passato, con esiti finali peraltro catastrofici, e che il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, con il contorno dei suoi sostenitori tecno-monopolisti, sta cercando di riportare di attualità. “Shock and Awe”, “colpisci e intimorisci”, viene chiamata dai suoi sostenitori questa modalità di intervento.

Il trattamento più aggressivo del nuovo governo Trump è stato anzitutto riservato agli storici alleati e agli amici degli Stati Uniti: i paesi europei, l’Ucraina, alcuni paesi dell’America latina e, in particolare, i due paesi confinanti, Canada e Messico. Non è un caso: il potere di ricatto è più incisivo quando il legame è più forte e la rottura dei rapporti può provocare più danni.

Dopo la fine della guerra fredda, con la caduta del muro di Berlino nel 1989, sembrava che l’egemonia americana fosse consolidata, nonostante i gravi eventi terroristici e le guerre sanguinose dell’inizio di questo secolo. Ma il terrorismo persiste, le guerre non hanno risolto ma aggravato i problemi e, da ormai tre anni, la guerra è tornata anche sul suolo europeo, con l’invasione russa dell’Ucraina.

Nello stesso tempo si sono registrati, sul piano dell’economia mondiale, grandi cambiamenti. Il grande sviluppo della Cina, la nascita dell’euro nel 2002, la crisi finanziaria del 2008, la nascita dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) nel 2010, la pandemia Covid e le sue conseguenze, i problemi del riscaldamento globale, il fortissimo sviluppo delle tecnologie, solo per citarne alcuni.

L’egemonia economica e finanziaria occidentale, rappresentata simbolicamente dal cosiddetto G7 (USA, Canada, Giappone, GB, Germania, Francia, Italia) si è nel tempo gradualmente indebolita in termini relativi e, parallelamente, si è andata sviluppando una rete di rapporti internazionali finalizzata al contenimento di questa egemonia.

Brics, Vertice dei paesi Brics a Kazan nel 2024

Vertice dei paesi Brics a Kazan nel 2024

Tra il 2009 e il 2010, dopo il rifiuto degli Stati Uniti di approvare una riforma del Fondo Monetario Internazionale che avrebbe valorizzato la presenza dei paesi emergenti, alcuni di questi paesi (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) avevano deciso di procedere autonomamente, costituendo una nuova piattaforma denominata BRICS, dalle iniziali dei loro nomi.

Da allora il gruppo dei paesi aderenti ai BRICS si è ampliato e si sta rafforzando. Sono ora 10 i membri effettivi BRICS: ai fondatori si sono aggiunti Egitto, Etiopia, Iran, Emirati Arabi Uniti e anche Indonesia, il quarto paese più popoloso del mondo con 285 milioni di abitanti.

A questi vanno poi aggiunti i 9 paesi che hanno richiesto di aderire a che sono attualmente “paesi associati” (Bielorussia, Bolivia, Cuba, Kazakistan, Nigeria, Malesia, Thailandia, Uganda e Uzbekistan) e altri (Arabia saudita, Algeria, Vietnam e Turchia) per i quali sono già in corso colloqui che potrebbero portare alla adesione in tempi brevi.

Si sta dunque configurando un gruppo BRICS di 20 e più paesi, già denominato “BRICS+”, le cui dimensioni demografiche ed economiche saranno straordinariamente grandi. Tra i nuovi associati, ad esempio, c’è la Nigeria che ha già oggi 220 milioni di abitanti e circa un terzo del PIL di tutta l’Africa. E altre decine di paesi stanno guardando ai BRICS+, ritenuti ora un possibile riparo dalla prepotenza commerciale e politica dell’America di Trump.

Secondo i dati dell’ottobre 2024 del Fondo Monetario Internazionale (FMI) i paesi dei BRICS+ rappresentavano già, a quella data, il 51% degli abitanti della Terra, il 41,4% del PIL mondiale, calcolato a parità di potere d’acquisto, il 37% del commercio globale e il 40% della produzione petrolifera mondiale.

L’incontro tra Xi Jinping e Vladimir Putin al vertice Brics di Kazan

A confronto il gruppo G7 (USA, Canada, Giappone, GB, Germania, Francia, Italia) rappresenta invece circa il 10 % della popolazione globale e il 29% del Pil mondiale. Una percentuale in forte calo rispetto al 52% che lo stesso G7 aveva nel 1990.

Il dollaro ha comunque svolto finora il ruolo di valuta di riserva mondiale. Dal 1944 collegato all’oro – il cosiddetto “golden standard” – con gli accordi di Bretton Woods, e poi, dal 1971, per decisione di Nixon, senza più riferimento all’oro. Ma questa egemonia si è gradualmente indebolita e la crescita delle economie emergenti ne sta determinando una possibile crisi.

Tra le ragioni che hanno spinto alla formazione dei primi BRICS nel 2010, era del resto già esplicita l’idea di favorire la “de-dollarizzazione”, un allontanamento dall’uso del dollaro come moneta di riferimento, ritenuto ormai un ostacolo allo sviluppo dei paesi emergenti e uno strumento di potere in mano agli Stati Uniti.

Questa tendenza si è negli ultimi anni consolidata e il gruppo BRICS, certamente eterogeneo per molti aspetti, è comunque sempre unito nelle iniziative per la de-dollarizzazione degli scambi commerciali e della finanza mondiale. E le iniziative del nuovo governo Trump rischiano ora, per un effetto di azione-reazione, di accelerare questo processo.

Molte nazioni BRICS+, infatti, stanno già da tempo utilizzando la propria valuta per commerciare tra loro, aggirando il dollaro. Cina e Russia hanno ridotto l’uso dei dollari del 90% nel loro commercio bilaterale, utilizzando invece rubli e renmimbi. Cina e Brasile hanno firmato un accordo per eliminare il dollaro nei loro scambi. E così con la rupia dell’India.

Inoltre, sembra in fase molto avanzata il progetto di una moneta digitale dei paesi Brics+ denominata “R5”, dalle iniziali di Renmimbi, Rupia, Real, Rublo, Rand, le monete dei cinque paesi fondatori, sul cui paniere sarebbe fondato il valore di riferimento della nuova moneta. E questa moneta digitale potrà subito inserirsi nel Brics Pay, il sistema per la facilitazione dei pagamenti nell’area BRICS+, ed essere anche disponibile on line in forma criptata.

Vladimir Putin parla al vertice Brics di Kazan

Questa tendenza era ben nota a Donald Trump che, ancor prima del suo insediamento alla Casa Bianca, aveva infatti diffuso il 1° dicembre 2024 un messaggio su X (ex Twitter) nel quale, riferendosi ai paesi BRICS+, affermava: «Dirò loro: se lasci il dollaro, non farai affari con gli Stati Uniti, perché metteremo tariffe del 100% sui tuoi beni».

Chi non avrà alternative subirà o cercherà di trattare condizioni meno svantaggiose. Ma altri paesi potrebbero invece essere definitivamente sospinti proprio da questo aut-aut ad abbandonare definitivamente il dollaro e a rifugiarsi nel mondo BRICS+.

All’indebolimento del dollaro come valuta di riferimento contribuisce poi, negli ultimi anni, anche lo sviluppo delle cosiddette “criptomonete”. Le criptomonete sono usate per transazioni dirette, senza intermediazioni bancarie, e quindi senza lasciare traccia e alcuna possibilità di controllo. Nel mondo BRICS, ad eccezione della Cina, si sono diffuse rapidamente. In Russia, ad esempio, le criptomonete sono state legalizzate e fortemente sviluppate proprio per aggirare le sanzioni finanziarie applicate da Europa e Stati Uniti dopo l’invasione dell’Ucraina del 2022.

La diffusione mondiale, a partire dal 2008, delle criptomonete – incentivata ovviamente dal loro ampio utilizzo per attività illegali – sta ormai assumendo proporzioni non più trascurabili, che stanno spingendo una tendenza ad aggirare le tradizionali monete “fiat”, così chiamate ricordando la frase latina “fiat voluntas tua”.

Bitcoin

Le criptomonete attuali sono di tre tipi. Le monete come i Bitcoin hanno in partenza un valore intrinseco dovuto al costo elevato della loro attivazione e una prefissata quantità totale di unità scambiabili (“token”) che ad esempio, per i Bitcoin, è fissato in 21 milioni di “token”. Le monete chiamate “Stablecoin” sono invece legate a un valore, come l’oro o una moneta o un paniere di monete, che viene posto a garanzia. Infine, le criptomonete chiamate “Memecoin” sono del tutto speculative, e il loro valore è determinato solo dalla domanda e dall’offerta.

In ogni caso le iniziative monetarie dei BRICS e le criptomonete finiranno per sottrarre molte risorse finanziarie al mercato mondiale delle valute cosiddette “fiat” e, anzitutto, del dollaro che è tuttora la valuta di riferimento. E proprio l’esigenza di contrastare questa prospettiva è forse alla base dell’annuncio di Donald Trump della costituzione di un fondo strategico federale di criptovalute. L’idea di fondo, si dice a Washington, sarebbe quella di emettere una “stablecoin” ancorata al dollaro, detassandone i rendimenti e cercando in tal modo di attrarre verso il cripto-dollaro una grande quantità di risorse finanziarie mondiali, recuperando così almeno parte della perduta egemonia monetaria o almeno frenandone la caduta.

Questa iniziativa, vista la barriera innalzata dai BRICS, colpirebbe soprattutto l’euro e il mercato finanziario europeo, strettamente connesso con quello americano. Ma le generali condizioni di disordine finanziario finirebbero anche per colpire in modo drammatico il potere regolatorio e la gestione del debito della banca centrale americana, la Federal Reserve.

Non si deve infatti dimenticare, a questo proposito, che la dimensione raggiunta dal debito pubblico americano è ormai superiore ai 36.000 miliardi di dollari, mentre il costo del servizio del debito pesa sul bilancio annuale per la cifra di 1.000 miliardi di dollari e, nel 2025, il rinnovo del debito riguarderà l’emissione di titoli per una cifra stimata in circa 7.000 miliardi di dollari.