Bella Ciao cantata anche
contro le manganellate

Bella Ciao è un canto legato alla lotta di liberazione dei partigiani italiani durante la II Guerra Mondiale, che nel corso del tempo si è diffuso in tutto il mondo come canto di protesta contro ogni sopraffazione. E scrivere di questo canto oggi è significativo dopo i fatti di Pisa del 23 febbraio 2024, quando la polizia ha usato i manganelli contro gli studenti che protestavano per quanto sta succedendo in Palestina. La stessa sera la folla riunitasi in piazza a Roma lo cantava per protesta sui fatti del giorno.

Bella Ciao, La polizia manganella gli studenti a Pisa

La polizia manganella gli studenti a Pisa

La popolarità internazionale di questo canto si era diffusa alla fine degli anni 1940 e negli anni 1950, in occasione dei numerosi “Festival mondiali della gioventù democratica” che si tennero in varie città, fra cui Praga, Berlino, Vienna dove essa fu cantata, con successo, dai delegati italiani e quindi tradotta in varie altre lingue dagli altri delegati stranieri.

La prima pubblicazione del testo in Italia compare nel 1953 sulla rivista La Lapa e nel 1957 sul giornale L’Unità. Raggiunse una grandissima diffusione negli Anni Sessanta, dopo il Festival dei Due Mondi di Spoleto del 1964. In quell’occasione durante lo spettacolo intitolato “Bella Ciao”, che era una raccolta di canti popolari, Michele Straniero, che sostituiva Sandra Mantovani, mentre cantava “Gorizia” intonò una strofa non prevista («… traditori signori ufficiali che la guerra l’avete voluta – scannatori di carne venduta – e rovina della gioventù …») che suscitò proteste e polemiche tra il pubblico ed ebbe strascichi anche in tribunale. Lo spettacolo ebbe un centinaio di repliche e circa 100.000 copie di dischi venduti. Il canto divenne popolare come forma di protesta tanto che fu intonato durante le manifestazioni operaie e studentesche del Sessantotto.

È stato ed è un inno popolare per le lotte civili in tanti paesi del mondo ed è stato tradotto in moltissime lingue. Lo cantavano gli studenti di Puerta del Sol a Madrid nel 2011 mentre protestavano contro la crisi economica, la mancanza e la precarietà di lavoro, la corruzione. Nacque allora il movimento 15M che i media chiamarono Indignados facendo riferimento al testo Indignez vous! del diplomatico francese Stéphan Hessel, ex partigiano novantenne che vi denunciava il decadimento della democrazia e il tradimento del ceto dirigente.

Bella Ciao, Pietro Nenni

Pietro Nenni

La prima versione spagnola della canzone era del cantautore Adolfo Cedràn, nel 1969, quando il suo paese era sotto la dittatura di Franco, per cui venne censurata.

Oggi il successo di questa canzone è dovuto alla serie televisiva La casa di carta, ideata da Alex Pina e visibile su Netflix. In un’intervista a La Repubblica, lo sceneggiatore Javier Gomez Santander ricorda «La prima volta in cui ho cantato Bella ciao è stato all’Università. Gianluca, uno studente italiano in Erasmus, aveva una chitarra e la cantavamo tutti insieme. Cantarla era il punto più alto di tutte le feste. E da quel momento l’ho sempre usata per darmi coraggio… Mi piace il significato di questa canzone, la lotta che porta con sé. Bella Ciao e La Casa di Carta condividevano l’anima. Ho gridato: siamo partigiani». Il professore, protagonista della serie, con la sua banda è infatti il simbolo della resistenza contro le banche.

Cantavano Bella Ciao i manifestanti di Piazza Taksim a Istanbul nel 2013, attaccati dalla polizia mentre in un sit-in protestavano per la costruzione di un centro commerciale nel Parco di Gezi. Lo cantavano le milizie curde a Kobane nel 2014; i Greci in piazza a Syriza nel 2015 per festeggiare l’elezione di Alexis Tsipras; i cileni in Plaza Italia a Santiago nel 2019 a protestare contro il carovita e la corruzione; gli iracheni nel 2020 per rivendicare la loro sovranità dalle ingerenze dell’Iran e degli Usa.

Roberto Leydi

In Italia durante la campagna per l’elezione del Governatore dell’Emilia-Romagna, nel 2014, l’intonava la folla radunata nelle piazze dal Movimento delle Sardine. Nel 2020, nel primo periodo di chiusura per la diffusione del Covid, vari italiani la cantavano dai loro balconi, inno di liberazione da quel contagio, e così fecero alcuni tedeschi per solidarietà con il popolo italiano, allora il più colpito dall’epidemia. Anche il sindacato dei vigili del fuoco inglesi, la Fire Brigades Union, realizzò un video in cui i vigili sparsi in tutto il paese intonavano il nostro inno come messaggio di solidarietà rivolto soprattutto ai pompieri italiani.

Nel 2021 fu presentata una proposta di legge affinché la canzone venisse cantata dopo l’Inno di Mameli in occasione del 25 aprile. «La canzone -si legge nella proposta- non è espressione di una singola parte politica, ma tutte le forze politiche democratiche possono ugualmente riconoscersi negli ideali universali ai quali si ispira».

Anche nello sport è arrivata questa canzone. Durante il campionato mondiale di calcio del 2018 i tifosi brasiliani sulle note di Bella Ciao intonarono “Messi Ciao” per prendere in giro il giocatore che militava nell’Argentina. In questo paese, grazie alla serie televisiva spagnola, si era diffusa tra i tifosi una versione di questa canzone ideata dal centrocampista argentino Lucas Castro, dal titolo El Pata, che doveva diventare l’inno della hincha argentina durante quei mondiali.

Ai campionati europei di calcio del 2021 tifosi italiani e spagnoli insieme, per le strade di Londra, l’intonavano durante il pre-partita del match poi vinto dagli Azzurri.

Javier Gomez Santander

La canzone è diventata l’inno ufficiale della Resistenza solo vent’anni dopo la fine della guerra. La sua diffusione nel periodo della lotta partigiana era minima e nota solo in pochi reparti di combattenti a Reggio Emilia e nel Modenese, nella Brigata Maiella e in altri gruppi partigiani delle Langhe. I canti più diffusi tra i partigiani erano “Fischia il vento”, “Là su quei monti”, “Pietà l’è morta”, “La Brigata Garibaldi”, “La preghiera del partigiano”.

L’origine di questo inno pare risalire ai canti popolari del Nord Italia e, secondo l’entomusicologo Roberto Leydi, deriverebbe dalla musica e dalla ripetizione della rima ciao in un canto infantile diffuso in tutto il nord “La me nòna l’è vecchierella”.
Potrebbe avere radici ucraine; nel 1919, infatti, Mishka Ziganoff, un fisarmonicista zingaro, nato a Odessa ed emigrato a New York, registrò “Koilen” che è una versione della canzone yddish “Dus Zekele Kollen”, una piccola borsa di cartone, la cui melodia ricorda l’inno italiano.

Khrystyna Soloviy

Non sarà casuale se la canzone è diventata uno dei simboli della resistenza ucraina contro l’invasione russa voluta da Putin. Khrystyna Solovyi, una cantante ucraina di 29 anni, ha pubblicato su YouTube il video “La rabbia ucraina”, una cover del celebre canto partigiano, riadattandolo «al contesto dell’attuale conflitto con la Russia, dedicandolo – spiega sui social – a tutte le forze armate, ai nostri eroi e a tutti coloro che in questo momento combattono per la propria terra».

Si credeva avesse dato origine alla canzone il canto che le mondine intonavano nelle risaie del vercellese e del ferrarese. Esso è invece una rielaborazione successiva alla guerra partigiana, risalente agli anni Cinquanta. «Alla mattina appena alzata / o bella ciao bella ciao bella ciao, ciao, ciao / alla mattina appena alzata / in risaia mi tocca andar. / E fra gli insetti e le zanzare / o bella ciao bella ciao / bella ciao ciao ciao / e fra gli insetti e le zanzare! un dur lavoro mi tocca far. / Il capo in piedi col suo bastone / o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao / il capo in piedi col suo bastone / e noi curve a lavorar. / O mamma mia o che tormento / o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao / o mamma mia o che tormento / io t’invoco ogni doman. / Ed ogni ora che qui passiamo / o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao / ed ogni ora che qui passiamo / noi perdiam la gioventù. / Ma verrà un giorno che tutte quante / o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao / ma verrà un giorno che tutte quante / lavoreremo in libertà».

Non solo lavoreremo in libertà ma, spero, protesteremo in libertà.