I ponti romani della Salaria
per superare l’Appennino

Dal Mare Tirreno all’Adriatico. Tra le tante consolari di Roma la via Salaria attraversava l’Appennino e l’Italia centrale. In particolare trasportava il sale da Ostia nelle regioni interne e i prodotti agricoli (pecore e formaggi) da quest’ultime verso l’Urbe. Ce ne parla Maria Luisa Berti.

Salaria, Il fiume Velino accanto alla via Salaria

Il fiume Velino accanto alla via Salaria

Da Antrodoco a Posta il fiume Velino scorre tra profonde gole, che un ramo della consolare risaliva grazie alle avanzate tecniche degli ingegneri di Augusto, Vespasiano e Traiano. Fu necessario scavare la via nella roccia e sono ancora visibili gli imponenti tagli delle pareti rocciose per permettere la costruzione della Salaria, come quello del Masso dell’Orso, alto 30 metri e lungo 20 metri. Al centro un incasso per una lapide a ricordo dei lavori eseguiti e accanto una nicchia forse per l’immagine di una divinità a protezione dei passanti. Nelle vicinanze una pietra miliare di età augustea segnala il miglio LXVIII.

Lungo le gole, superato il paese di Sigillo, poco prima di Posta si possono ammirare le “Vene Rosse del Diavolo”, un taglio rossastro della roccia, lungo 180 metri e alto 16 che, secondo una leggenda, sarebbe frutto di una diavoleria di Cecco d’Ascoli. Quel taglio fu voluto dall’imperatore Traiano dopo che una frana, caduta vicino al villaggio di Sigillo, aveva provocato vari danni.

Uscita dalle gole, la via raggiungeva l’antica mansio romana di Posta, oltrepassava la valle Falacrina e raggiungeva il Passo della Torrita, dove scavalcava l’Appennino e scendeva nella conca amatriciana (la zona più colpita dal terremoto del 2016) e nella valle del Tronto. Al Passo della Torrita sono emersi ruderi di una villa romana dotata di un peristilio e di vari ambienti, sotto i quali c’era un impianto di riscaldamento “a pavimento”. Qui sono stati ritrovati resti di colonne e capitelli, vasi, attrezzi, monete e un busto raffigurante Cesare. Fu invece rubato e mai ritrovato un busto di marmo raffigurante una figura femminile nuda.

Basolato dell’antica via Salaria

La Salaria attraversava poi Accumuli e raggiungeva Pescara. Qui i primi insediamenti risalgono a 6.000 anni fa. Nel I sec. a.C. i Vestini vi fondarono un primo villaggio presso le rive del fiume Aterno, che i Romani chiamarono Vicus Aterni, poi Aternum e, in età imperiale Ostia Aterni, cioè la foce del fiume. Era il porto commerciale delle popolazioni circostanti: Vestini, Pelasgi e Marrucini. Con le invasioni barbariche e la caduta dell’Impero Romano, la città andò in decadenza anche se il porto in età medioevale continuò la sua attività a fasi alterne. Intorno all’anno Mille la città cambiò il suo nome e divenne Piscaria.

Da Pescara la Salaria proseguiva verso Arquata del Tronto, seguendo il fondovalle e costeggiando il fiume. In questa zona c’erano varie stazioni di posta: Vico Badies; Ad Martis, forse Tufo, costruita su un’altura per difenderla dalle inondazioni del fiume; Surpicano, per alcuni l’odierna Arquata, e Ad Centesimum, oggi Trisungo, una frazione di Arquata nella provincia di Ascoli Piceno, sulla riva destra del fiume. Il toponimo deriverebbe da tres e jungo, cioè tre e congiunto perché qui si incrociavano tre strade: la Salaria, il Vorsus verso Arquata e la via che portava a Colle. Erano tre anche i rioni della città: Contrada Ponte, Vicinato e Trisungo. Sorge a 601 metri s.l.m. tra le alte vette del Gran Sasso e dei Monti Sibillini. Lungo il fiume è stato ritrovato un rocchio di una pietra miliare romana in travertino, datato al 16 a.C., pietra murata sulla parete di casa Laudi. L’epigrafe incisa nel cippo ricorda una delibera del Senato con cui Augusto Imperatore dispose dei lavori di manutenzione sulla via consolare lungo la valle del Tronto.

Salaria, Ponte romano sulla via Salaria

Ponte romano sulla via Salaria

La Salaria procede poi per Quintodecimo, Acquasanta Terme, Mozzano e Ascoli Piceno. I primi insediamenti ad Aquasanta risalgono alla preistoria, come testimoniato dai ritrovamenti di resti umani nella frazione di Umito, nelle caverne di Rio Secco e a Carpineto. Risalgono ad età romana le prime terme nell’attuale frazione di Santa Maria del Tronto, dove esisteva, secondo Tito Livio, una mansio. Nella Tavola Peutigenaria la località risulta come Vicus o Pagus Ad Aquas. Le terme romane, distrutte durante le invasioni barbariche, furono ricostruite ad Aquasanta.

Prima di Ascoli Piceno, nella frazione di Mozzano, sulla sponda sinistra del fiume, ci sono le sorgenti d’acqua salata, sfruttate fin dall’antichità per ricavarne il sale. Ascoli Piceno trae il nome dai termini greco-romani Asculon ed Asclos. Giulio Cesare per primo la chiamò Asculum Picenum per non confonderla con Asculum Apulum, ora Ascoli Satriano.

Ci sono varie ipotesi sull’etimologia di Ascoli, basate su miti e fonti antiche. Il toponimo Piceno deriverebbe, secondo Strabone, Plinio e Paolo Diacono, da picus, un picchio verde, oppure da un re Picus, che avrebbe condotto un gruppo di Sabini in questa zona durante un ver sacrum, una primavera sacra. I Sabini si sarebbero fusi con le popolazioni autoctone dando origine ai Piceni, che fondarono Ascoli prima della nascita di Roma. 

I Piceni con altri popoli italici si ribellarono ai Romani, provocando una guerra che ebbe inizio proprio in questa città che fu conquista dai Romani nel 268 a.C. Parte della popolazione picena fu poi deportata in una zona al confine tra Campania e Lucania, che fu detta “agro picentino”.

Porta Gemina della Salaria in ingresso ad Ascoli Piceno

Nel 209 a.C. Ascoli fu dichiarata civitas foederata e divenne il centro principale del Piceno. Partecipe della Guerra sociale contro Roma, nell’89 a.C. dopo un lungo assedio fu conquistata dal generale Gneo Pompeo Strabone che fece trucidare i capi della rivolta ed esiliare molti cittadini. Le “ghiande missili” ritrovate con iscrizioni di invettive contro i nemici e di incitazione a colpirli, erano proiettili di piombo scagliati da ambedue le parti.

Durante il secondo triumvirato, divenne colonia triumvirale per il valore mostrato dal generale ascolano Publio Ventidio Basso nella guerra di Marco Antonio contro i Parti.

Sotto Augusto Imperatore la città fu iscritta alla quinta regione italica, poi divenne una delle province della diocesi italica in seguito alle riforme decise da Diocleziano e da Costantino. Con la caduta dell’Impero Romano, Ascoli seguì le sorti della penisola italiana.

La Salaria entrava in città da ovest attraverso la Porta Gemina, seguiva il decumano massimo che, all’altezza del Foro, incrociava il cardo massimo, poi usciva ad est, dove il torrente Castellano confluisce nel Tronto, passando sul ponte detto “di Cecco”. Il centro storico della città conserva l’impianto ortogonale dell’urbanizzazione romana, cominciata in tarda età repubblicana.

Dopo Ascoli la Salaria si dirigeva verso il Mare Adriatico e finiva il suo percorso al porto di Castrum Truentium, oggi Martinsicuro, vicino a San Benedetto del Tronto. I primi insediamenti nella zona risalgono all’età del bronzo ma furono i Romani a fondare qui la colonia di Truentum. Divenne poi municipio col nome di Castrum Truentium e in età augustea fu collegato alla Salaria.

Resti del teatro romano di Ascoli Piceno

Gli scavi degli anni Novanta hanno permesso di localizzare l’insediamento romano sulla sponda meridionale del fiume e di ricostruire l’antica area urbana, con il Macellum vicino al porto e ai locali per le merci del quartiere commerciale.

Le attività principali erano la pesca, il commercio e la tintura delle stoffe, come ricorda l’epigrafe di Gaio Marcilio Erote pirpurarius, cioè commerciante di porpora. Dal VI sec. d.C. inizia il decadimento della città e del suo porto a causa dell’avanzamento della linea costiera e della crisi economica del tardo impero.

Dalla Salaria si diramavano altre vie di comunicazione. La Salaria Picena collegava Castrum Truentium, Martinsicuro, con Ancona e Fano; oggi il suo percorso corrisponde alla SS16, l’Adriatica.

Il collegamento con la via Flaminia avveniva attraverso la Salaria Gallica che, secondo alcune fonti, cominciava nei pressi di Arquata del Tronto, attraversava i Monti Sibillini ed arrivava a Jesi. Per altri, invece, questa diramazione nasceva all’altezza di Ascoli e terminava sulla Flaminia a Forum Sempronium, oggi Fossombrone. A Eretum, nella zona di Monterotondo, la Salaria incontrava la via Nomentana. Al XXXV miglio da Roma, vicino a Trebula Mutuesca, si staccava la Via Caecilia che passava per Amiternum, nella piana dell’Aquila e arrivava ad Hatria, oggi Atri.

Il sistema viario romano, organizzato a partire dalle vie consolari, era importante sia per controllare il territorio conquistato, sia per favorire le comunicazioni e il commercio, sia per diffondere i caratteri peculiari della società romana. 
L’attuale Strada Statale 4, che segue il percorso della via Salaria, conferma l’efficacia dei sistemi di costruzione dei Romani nel creare le loro vie di comunicazione.

Quarto articolo – Fine