“Moderazione”. Antonio Tajani, un giornalista passato alla politica, ha un carattere gentile e una linea prudente. Da quando ha assunto la guida di Forza Italia, dopo la morte di Silvio Berlusconi, continua a predicare “moderazione”.
Il motto “moderazione” è insito nella sua indole ma è anche una scelta politica precisa, diretta a contrastare “l’irruenza” di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini, i suoi due alleati nel governo di destra-centro. La presidente di Fratelli d’Italia e il segretario della Lega sono lanciati in una gara per conquistare i voti di destra (e di estrema destra) nelle elezioni europee del prossimo giugno. Tajani, fedelissimo del Cavaliere, è invece saldamente ancorato al centro. Ricorda l’adesione di Forza Italia al Partito popolare europeo (al contrario dei due alleati di governo), l’identità centrista, liberale e cattolica. È l’ultimo erede politico dell’ex presidente del Consiglio: Alfano, Bondi, Verdini, Toti (all’interno del partito) più Fini e Casini (all’epoca del Pdl) furono cancellati dalla successione nel corso della Seconda repubblica. Anche su di lui pesava una scarsa considerazione politica.
Forza Italia, fondata nel 1993 da Berlusconi a sua immagine (c’era anche l’attuale segretario), per molti osservatori non può avere un altro timoniere; non gli può sopravvivere in quanto “partito del leader”, “partito del capo”, “partito padronale”. Tajani, però, vuole smentire le previsioni: Forza Italia non si sfalderà dopo la morte di Berlusconi.
Il ministro degli Esteri e vice presidente del Consiglio vuole dimostrare il contrario. Difende come il Cavaliere i ceti produttivi, i liberi professionisti, i pensionati. All’assemblea di tre giorni del partito a Paestum, il “Berlusconi day”, dice: Forza Italia resta «determinante per la politica italiana». Anzi, ha un futuro di successo: «Vogliamo costruire la grande casa dei moderati, il centro della politica italiana».
Un risultato l’ha ottenuto: Forza Italia non si è disgregata, a 5 mesi di distanza dalla scomparsa del suo combattivo e carismatico fondatore è ancora in piedi. Conta nel governo Meloni. Il temuto smembramento verso Fratelli d’Italia e la Lega non è avvenuto. Un sondaggio elettorale della Swg gli dà il 7% dei voti. Un dato niente male per il partito del Cavaliere, senza più il Cavaliere.
In molti non davano molto credito alla tenuta. Tajani si è mosso in punta di piedi, è stato eletto segretario del partito a tempo e non presidente perché esiste «un solo presidente: Berlusconi». Il prossimo congresso deciderà se resterà lui sul ponte di comando o no. Ma sembra funzionare la sua strategia della “moderazione”, il suo europeismo critico contro le ventate di populismo e di sovranismo di Meloni e Salvini. Molti cittadini lo vedono come un utile freno agli “strappi” dei due alleati maggiori.
Ogni tanto arriva un segnale. Giorgio Mulè, uno dei “colonnelli” di Forza Italia, frena sulla grande fretta di approvare in Parlamento l’elezione diretta del premier, definita “la madre di tutte le riforme” dalla presidente del Consiglio. Mulè ammonisce: «Non si può dire facciamo tutto velocemente».
Forza Italia non scompare, almeno per ora. Anzi si prepara a giocare la sfida delle elezioni europee. Qualcuno sogna di poter “sorpassare” anche la Lega quotata attorno al 9% dei voti nei sondaggi. Forse le aspettative di Berlusconi non saranno infrante: gli sopravviverà non solo il suo impero imprenditoriale con al centro Mediaset ma anche Forza Italia.