Fake news a valanga dal
circuito politico-mediatico

Brandizzo, Disperazione dopo la strage di Brandizzo

Disperazione dopo la strage di Brandizzo

Impressiona che subito dopo la fine di agosto la strage di Brandizzo sia scivolata rapidamente nelle pagine interne dei quotidiani. E impressiona pure che dei cinque operai morti per un appalto da 750 euro si sia tornato a parlare in prima pagina solo dopo che è saltato fuori il video registrato la notte della tragedia da una delle vittime. Dove si sentono chiaramente le parole pronunciate dal controllore di RFI: «Se dico treno, spostatevi».

Incredibile che la scorta di Rete ferroviaria italiana, l’azienda di Stato partecipata al 100% da FS per gestire le infrastrutture ferroviarie pubbliche, abbia fatto iniziare il lavoro prima che la linea fosse libera. E se poi è vero che succedeva spesso, in quanto era una prassi per risparmiare tempo e denaro a scapito della sicurezza sul lavoro, diventa ancora più incredibile la debole risposta del governo.

Meloni in visita al Gran Premio di Monza

Per non parlare della maggior parte dei giornali che il 4 settembre, dopo aver relegato questa ennesima strage sul lavoro all’interno, mettevano in prima pagina la premier Meloni fotografata al gran premio di Formula Uno di Monza dove rivolgeva questo monito: «Dobbiamo correre di più». Storica frase che per alcuni quotidiani diventava addirittura titolo d’apertura. A dimostrazione del fatto che ormai siamo di fronte a un vero e proprio circuito politico-mediatico che spesso sceglie di oscurare la realtà. Perché ciò che conta per il sistema è la propaganda, o – per usare una formula più elegante – la “narrativa”, come va di moda dire oggi.

Ed ecco allora il grande spazio dato dai media alla visita della Meloni a Caivano, Comune alle porte di Napoli con grandi problemi di criminalità, dopo lo stupro di due cuginette minorenni. Un grande spot della premier per promettere il recupero dell’area degradata, teatro di questa e altre violenze. E poi i titoloni sui provvedimenti del governo, il cosiddetto “decreto Caivano”: con la stretta sulla criminalità giovanile fino all’arresto dei minori colti in flagranza di reato. E il populismo penale che ha spinto il Consiglio dei ministri a prevedere l’arresto per i genitori che non mandano i figli alla scuola dell’obbligo.

Meloni a Caivano con don Patriciello

Tra le ipotesi ancora da mettere a fuoco, perché non si sa come fare rispettare i divieti, ci sono anche lo stop ai cellulari e ai siti pornografici da parte dei minori. Misure volute dalla ministra Roccella e chieste – sembra –  da don Patriciello, il parroco che prima ha invitato la premier a Caivano e poi se ne è uscito con un sentito «Grazie Meloni».

Certo, sui giornali poi si legge anche qualche commento in cui si parla di “grida manzoniane” e si critica la politica tutta “legge e ordine” dell’esecutivo in vista delle prossime elezioni. Ma la premier va avanti come se nulla fosse e difende a spada tratta le sue scelte. In conferenza stampa arriva a dire che la differenza rispetto al passato è che adesso con lei a Palazzo Chigi «lo Stato ci mette la faccia».  

E così a Caivano, dopo lo stupro ecco il blitz con l’arrivo di 400 uomini per “bonificare” il Parco verde. Ci sono tutti: carabinieri, poliziotti, guardia di finanza, polizia municipale. Cani, elicotteri, vigili del fuoco con autoscale per irrompere dalle finestre. Risultato: 3 persone denunciate per contrabbando di sigarette e pochi grammi di droghe sequestrati. Insomma, un gigantesco flop di cui però quasi non si parla.

Maxi operazione di sicurezza a Roma e a Napoli

Se si confronta lo spazio minimo dato alla notizia (questa sì vera) del bilancio dell’operazione di polizia con i titoloni a tutta pagina che avevano annunciato il blitz abbiamo il quadro dell’attuale circuito politico-mediatico. Dove la politica italiana è ridotta a macchina di comunicazione e i media che ne amplificano i messaggi, fake news comprese.

È un sistema che ormai conosciamo, ma che deve ancora dare il meglio (si fa per dire) di sé, visto che i partiti sono già in campagna elettorale per le Europee dell’8 e 9 giugno prossimo. Con un governo che in vista della legge di Bilancio, di fronte alla realtà dei conti pubblici, adesso sarà costretto a rinviare tutte o quasi le sue promesse. Perché si ritrova in cassa appena otto miliardi e mezzo di euro contro i 40 e passa di cui avrebbe bisogno per varare almeno alcune delle misure identitarie fin qui annunciate. Le stesse che undici mesi fa fecero entrare Giorgia Meloni a Palazzo Chigi.