Nell’epoca della postpolitica i partiti novecenteschi sono costretti a fare ogni giorno i conti con i movimenti populisti. Molti leader politici – siano essi socialisti o popolari, conservatori o liberali – bocciati nelle urne, devono farsi da parte per lasciare il passo a capipopolo venuti dal nulla che guidano formazioni personali populiste e sovraniste.
Siamo di fronte a un terremoto che, in Italia e in mezzo mondo, sta cambiando il volto della politica: i suoi riti, i suoi miti e – soprattutto – le sue regole. I nuovi leader, che si appellano direttamente al “popolo” attraverso Internet, non hanno bisogno di corpi intermedi e – una volta al governo – vivono il Parlamento come un impaccio e cercano di farne a meno. Lo scontro tra leadership e rappresentanti eletti in Parlamento sta mandando in crisi la moderna democrazia parlamentare perfino nei Paesi dove è nata: Inghilterra e Stati Uniti.
Donald Trump ha iniziato la sua guerra alla Camera dei rappresentanti il giorno dopo la sua ascesa alla Casa Bianca, quando pretendeva di costruire il muro di confine con il Messico senza il voto del Congresso. E ha continuato così per tutto il mandato, fino all’ultimo scandalo della sua amministrazione, il Kievgate. Ma pressioni esercitate sul premier ucraino perché indagasse sul figlio di Biden, il candidato Democratico alle elezioni presidenziali dell’anno prossimo, e sui suoi affari in quel Paese, rappresentano solo una faccia della medaglia. Perché per spingere Kiev a indagare contro Biden Trump ha congelato una tranche di aiuti militari già concessi dagli Stati Uniti all’Ucraina e regolarmente votati dal Congresso.
E che dire di Boris Johnson? Il nuovo premier populista inglese aveva fatto chiudere per 5 settimane il più antico Parlamento del mondo per poter trattare sulla Brexit con l’Unione europea senza doversi sottoporre a lunghi dibattiti e a rischiose votazioni. La cosa incredibile è che a fermare Johnson facendo ordinare la riapertura di Westminster dalla Corte Suprema non sono stati i suoi oppositori in Parlamento. Lo ha fatto una semplice cittadina, una signora di 54 anni senza alcun incarico politico, che ha presentato il ricorso alla magistratura contro una chiusura illegale. Altro segnale della crisi dei partiti tradizionali.
E l’Italia? Da noi il caso più clamoroso di scontro leader-Parlamento è stata la crisi del governo gialloverde aperta da Matteo Salvini, alla vigilia di Ferragosto, su una spiaggia e a Camere ormai chiuse per le ferie estive.
Ma l’esempio più eclatante della destrutturazione della politica non è il leader leghista. Il primato spetta di diritto al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che è stato portato un anno e mezzo fa a Palazzo Chigi dagli azionisti dell’esecutivo gialloverde per garantire il “contratto di governo”. Senza aver ottenuto la legittimazione da un qualsiasi voto popolare, Conte doveva essere solo l’amministratore delegato che rispondeva agli azionisti Salvini e Di Maio. Ma dopo 14 mesi, con l’arrivo del nuovo governo giallorosso, Conte è incredibilmente riuscito a rimanere a Palazzo Chigi con un nuovo programma politico. Proprio come un amministratore delegato che, cambiati i suoi azionisti, cambia strategia e presenta un nuovo piano industriale. Nemici che adesso si scontrano su tutto: manovra economica, immigrati, riforma elettorale, eccetera. A ben guardare, Conte e Salvini sono però soltanto dei “carissimi nemici”, perché figli della stessa madre. La postpolitica.