Il socialismo non è morto. Anzi, i partiti socialisti che continuano a fare il loro mestiere di sinistra riformista riescono a fare il pieno di voti, a vincere le elezioni europee e a staccare di diversi punti le formazioni di centrodestra. La prova che il più antico partito del Novecento può ancora giocare la sua partita, viene dai risultati ottenuti nella penisola iberica alle europee di domenica 26 maggio.
In Spagna, il Psoe del premier in carica Pedro Sanchez ha portato a casa 20 eurodeputati contro i 14 delle precedenti elezioni. Con il suo 32,8 per cento, ha consolidato il primato conquistato alle legislative del 28 aprile e ha mandato al tappeto il Partito popolare ormai staccato di quasi tredici punti.
Stesso scenario in Portogallo, dove il Ps del premier Antonio Costa ha ottenuto il 33,4 per cento. Era da 20 anni che un partito al governo non andava tanto bene, mentre il Psd, che per anni ha governato il Paese, si è fatto inchiodare al 22,2, il peggior risultato di sempre.
Non sono risultati nati per caso. In Spagna Sanchez, al quale inizialmente nessuno (nel Psoe e fuori) dava una sola possibilità di successo, ha rischiato e ha vinto. Rientrato in gioco dopo essere stato isolato dal suo partito, ha tirato fuori dal cilindro la carta della sfiducia costruttiva, spingendo il premier di centrodestra Rajoy alle dimissioni e formando un governo di minoranza. Dopo aver rottamato, senza fare tanti proclami, la vecchia classe dirigente socialista, ha preso iniziative in linea con la tradizione della sinistra riformista al governo: diritti civili, accoglienza degli immigrati, attenzione ai ceti più deboli. Infine ha aperto i conti con il post-franchismo arrivato al potere grazie a un accordo con la sinistra che garantiva la transizione della Spagna dalla dittatura alla democrazia.
Una commissione parlamentare ha avviato un’indagine sui crimini e sulle ruberie del regime. A cominciare dalle case e dai palazzi di cui il dittatore e la sua famiglia si erano impadroniti, per avviare la loro restituzione alla collettività. Alla fine, nonostante tutte le difficoltà che il leader del Psoe ha incontrato, gli elettori gli hanno dato ragione. Adesso, dopo la vittoria alle legislative di aprile e il consolidamento alle europee, Sanchez si avvia a formare il nuovo governo.
Situazione analoga in Portogallo. Nel 2015 Antonio Costa e il Partito socialista non vincono le elezioni politiche, nonostante le misure lacrime e sangue imposte dalla troika inviata da Bruxelles, grazie ai primi segnali di ripresa, gli elettori premiano ancora il Psd di Coelho (centrodestra) attribuendogli però 89 seggi contro gli 86 del Ps.
Ma il segretario socialista Costa riesce a convincere il presidente della Repubblica, favorevole a un governo di larghe intese, che un esecutivo di minoranza a guida socialista è possibile. Certo di avere dalla propria parte le forze parlamentari di sinistra (Bloco de esquerda, Partito comunista e Verdi), riesce a mettere insieme un governo di minoranza. La compagine viene giudicata subito dall’Unione europea in linea con le aspettative di Bruxelles. Il ministro delle Finanze, il liberale Mario Centeno, che verrà poi eletto alla presidenza dell’Eurogruppo (alla fine del 2017) risulterà subito una carta vincente.
E così il governo Costa adesso può vantare risultati eccezionali: un deficit che nel 2018 è stato dello 0,5 per cento del Pil cresciuto oltre il 2 per cento nello stesso anno e che oggi si attesta all’1,7, l’aumento dei consumi interni, un debito pubblico ancora alto, ma sotto controllo. Questi risultati hanno permesso di abbassare l’età pensionabile per i dipendenti pubblici, ripristinare quattro giornate festive, innalzare il salario minimo.
Forte dei risultati di governo e dell’ottimo esito delle amministrative dell’anno scorso, adesso Costa gioca con alleati e avversari come il gatto con i topi. Alla vigilia delle europee ha messo con le spalle al muro destra e sinistra. L’occasione è stata la trattativa per l’adeguamento salariale dei dipendenti pubblici i cui stipendi furono congelati dalla troika.
Visto che il costo era molto alto (una riforma da 800 milioni di euro annui), il premier ha approfittato di un emendamento votato in Parlamento dalla sinistra che sostiene il governo insieme all’opposizione di destra. E così Costa è andato dal presidente della Repubblica e ha messo sul tavolo le proprie dimissioni, naturalmente rifiutate.
Ma questo gli è servito, negli ultimi giorni di campagna elettorale, per mettere nel mirino destra e sinistra. Accusando Il Psd di aver abbandonato il rigore alleandosi con il partito comunista e il Pcp di aver votato insieme alla destra. Risultato, alla prova del voto di domenica 26 maggio, il Psd è crollato, il Pcp è andato molto male, mentre il Ps, che è salito al 33,4 per cento, adesso si prepara a vincere a man bassa le prossime elezioni politiche di ottobre.