Azzorre, ecco perché
l’80% degli elettori
non vota alle europee

Arcipelago, il moderno porto di San Miguel

Il moderno porto di San Miguel

Come è possibile che un’area uscita da una miseria secolare grazie ai fondi dell’Unione europea registri una diserzione elettorale di massa quando è chiamato alle urne per il Parlamento europeo? Succede alle Azzorre, dove l’80 per cento dei cittadini non va a votare per mandare i suoi due rappresentanti a Bruxelles, anche se negli ultimi sei anni (e fino al 2020) le isole dell’arcipelago hanno avuto a disposizione un miliardo e mezzo di fondi europei. La contraddizione è tanto clamorosa che si fa fatica trovare una spiegazione.

Arcipelago, Ponta Delgada

Ponta Delgada

Ci ha provato l’Università delle Azzorre, che ha appena pubblicato uno studio sull’argomento. Il primo dato evidenziato dagli autori è che le Azzorre sono «la regione con l’astensionismo più alto del Portogallo», un fenomeno registrato in tutti i tipi di elezione dal 1975 al 2017, ma che «si accentua» in occasione delle europee. Perché?

Le prime risposte arrivano direttamente dai residenti che hanno riempito un questionario allegato alla ricerca. Il campione è significativo e rappresenta tutti gli strati sociali. Il 60 per cento degli intervistati afferma di non votare per sfiducia nei confronti dei partiti che sono «interessati solo a se stessi». Un buon 30 per cento accusa la classe politica di «perdita di credibilità». Apparentemente siamo di fronte agli argomenti tipici che in altre parti d’Europa stanno gonfiando le forze populiste. Ma qui non ci sono partiti o movimenti populisti. E allora?

Il verde prorompente delle Azzorre

Secondo il professor Alvaro Borralho, il sociologo che ha coordinato la ricerca, la prima spiegazione affonda nella storia e nella geografia dell’arcipelago che per secoli «è rimasto isolato in mezzo al mare» e, per molti versi, è più vicino al continente americano che all’Europa. Non a caso, nel Novecento, le due grandi rotte degli emigranti azzorriani erano Canada e Stati Uniti. Insomma, «qui l’Europa appare spesso una realtà lontana anche per le persone informate». Figuriamoci per la maggioranza dei residenti, in un’area ancora culturalmente poco sviluppata in cui «l’informazione non arriva a tutti».

La tesi del professor Borralho viene in parte confermata da Raul, giovane archeologo di São Miguel, che ha fatto l’Erasmus in giro per l’Europa e ha conseguito il dottorato in Germania: «Qui il cosmopolitismo di tanti miei coetanei che vivono nei paesi dell’Unione non esiste. I voli low cost che collegano Ponta Delgada con Lisbona e con l’Europa sono arrivati solo da pochi anni e i giovani universitari abituati a viaggiare rappresentano ancora una minoranza ristretta».

Lungomare di San Miguel

Poi ci sono le responsabilità della classe politica portoghese e quelle degli eurocrati comunitari. Come ricorda il professor Borralho, «La prima volta che abbiamo votato per le europee fu nel 1987, quando il partito socialdemocratico (PSD) portoghese conquistò la sua prima maggioranza assoluta nel Parlamento nazionale» con una campagna elettorale che «sottomise completamente le questioni europee a quelle nazionali».

La diffidenza nei confronti dell’Ue è invece quella che ormai viene percepita da tanti cittadini comunitari: un Parlamento con pochi poteri, un governo (la commissione europea) e un presidente che non vengono eletti dai cittadini ma nominati dai governi, e infine un esercito di tecnocrati che dettano le regole a milioni di persone senza aver ottenuto alcuna legittimazione dal voto popolare.

Ma nemmeno le colpe di Lisbona e di Bruxelles – sommate all’isolamento, all’ignoranza e alla scarsa conoscenza dell’Europa – bastano a spiegare l’ottanta per cento di astensione degli azzorriani alle europee. Come sottolinea Raul, un portiere d’albergo che lavora in un hotel di lusso di Ponta Delgada, nell’arcipelago esiste anche un euroscetticismo consapevole.

Boschi e cascate delle Azzorre

Infatti, se è vero che le Azzorre hanno potuto attingere ai fondi comunitari per uscire dalla miseria, è altrettanto vero che una parte di questo denaro è servita solo per arricchire pochi imprenditori privati. Raul cita il caso del proprietario del suo albergo, che è riuscito a farsi finanziare la struttura «quasi interamente» da Bruxelles e ha fatto la sua fortuna, perché una stanza in bassa stagione non costa meno di 100 euro a notte e l’hotel è sempre pieno. Il problema è che per Raul, che parla correntemente quattro lingue ed è un professionista, non è cambiato molto. Lavora 10 ore al giorno, ma il suo salario resta quello minimo legale: 600 euro al mese.

 

Fine – Il primo articolo è uscito il 20 maggio