La Rete fa boom, i quotiani flop. La mia edicola si è salvata, quella sul marciapiede di fronte no: ha chiuso i battenti per mancanza di clienti. Ha subito la sorte di tante altre edicole a Roma e in tutta Italia: i conti vanno in rosso e le serrande non si rialzano più. Anche via Gregorio VII, a cinquecento metri da San Pietro, non fa eccezione alla regola: si vendono sempre meno giornali, anche in zone come questa densa di centri universitari, scuole, attività commerciali e professionali.
Una crisi strutturale sta divorando i quotidiani e le riviste. Il Censis (Centro studi investimenti sociali), con il 51° “Rapporto sulla situazione sociale del Paese”, aiuta a capire meglio la malattia della carta stampata: gli italiani che leggono regolarmente i quotidiani per informarsi durante la settimana si sono ridotti nel 2017 ad appena il 14,2%. E sono solo il 5,6% tra i giovani. Un disastro.
Gli ultimi lustri sono stati una Caporetto. In 15 anni le copie vendute dei quotidiani si sono dimezzate: dai quasi 6 milioni al giorno del 2000 sono crollate a meno di 3 milioni nel 2016. I periodici, settimanali e mensili, hanno fatto registrare una piccola ripresa dopo essersi ridotti al lumicino.
Crollano le copie e sprofonda la pubblicità. Il fenomeno si è ripetuto negli ultimi mesi. Secondo l’Osservatorio Stampa Fcp (Federazione concessionarie pubblicità) il fatturato pubblicitario dei quotidiani è calato del 9,1% nel periodo gennaio-ottobre 2017 rispetto agli stessi mesi del 2016. I settimanali hanno accusato un colpo leggermente inferiore (meno 5,5%) come i mensili (meno 7,8%).
Sempre di più gli italiani preferiscono la televisione ed internet per informarsi. In particolare: la tv tradizionale regge negli ascolti (grazie soprattutto agli anziani) mentre il web è in fortissima espansione (è usatissimo dai giovani). Il Censis dà un’indicazione sulle scelte: la televisione conserva il primo posto nelle preferenze degli intervistati con il 28,5%, segue internet con il 26,6% e i social network con il 27,1%. Però sommando i due dati del web, la comunicazione online arriva alla maggioranza assoluta con il 53,7%. Il missile che va fortissimo è la Rete. Per gli altri media restano le briciole (il cinema si ferma al 2,1%).
Cos’è che non funziona? Perché la carta stampata sprofonda, la televisione regge e internet fa boom? Secondo il Censis i giornali su carta continuano a soffrire la mancata integrazione con il mondo della comunicazione digitale. Ma la malattia solo in parte si spiega con questa causa. I giornali tradizionali negli ultimi anni hanno conquistato importanti posizioni sulla Rete grazie alle rispettive versioni sul web (Corriere.it, Repubblica.it, La Stampa.it e via di seguito). I quotidiani su carta e su internet, fortemente integrati (gli stessi giornalisti confezionano gli articoli per le diverse versioni), danno un’informazione differenziata secondo le esigenze delle diverse piattaforme editoriali. Le differenti caratteristiche degli strumenti di comunicazione hanno tracciato i rispettivi spazi. L’informazione su internet è immediata, a ciclo continuo e sintetica; quella sulla carta stampata cade ogni 24 ore, è approfondita e ricca di analisi.
L’integrazione funziona. La credibilità giornalistica dei quotidiani su carta ancora tiene: così marciano bene i giornali online espressione dei quotidiani tradizionali mentre praticamente hanno pochissimo spazio le testate pensate e presenti solo sul web. Tuttavia il buon andamento dei quotidiani online (in parte gratis e in parte in abbonamento) non riesce a compensare la crisi di quelli su carta (la pubblicità cresce per i primi e sprofonda per i secondi).
La Rete, poi, è piena di trappole. Agli italiani piace internet ma sono in allarme per le false notizie, le cosiddette fake news usando un termine inglese molto di moda. A più della metà degli utenti di internet è capitato di dare credito a notizie false circolate in Rete: la percentuale scende di poco per le persone più istruite (51,9%), ma sale fino al 58,8% tra i più giovani. Il Censis spiega: «Per il 77,8% degli italiani, inoltre, quello delle fake news è un fenomeno pericoloso. Soprattutto le persone più istruite ritengono che le bugie sul web vengono create ad arte per inquinare il dibattito pubblico (74,1%) e che favoriscono il populismo (69,4%)».
Internet corre come un missile, è in ottima salute, è una enorme galassia in continua espansione ma insidiata da micidiali trappole. Il suo futuro, e soprattutto quello del corretto funzionamento della democrazia, è legato alla cura (ancora tutta da scoprire) su come estirpare le false notizie, le bufale che danno una informazione sbagliata della realtà politica, economica, sociale.
Strettamente connesso è il problema del Far west del web. La Rete è uno sconfinato impero globale che non conosce frontiere governato da poche, potentissime multinazionali come Facebook, Twitter, Google, YouTube. In mancanza di una regolamentazione nazionale e, soprattutto, internazionale i giganti statunitensi del web, nati a cavallo del 2000 dall’inventiva dei dinamici ex giovani imprenditori della Silicon Valley, fanno il bello e il cattivo tempo. Dettano le regole agli utenti-consumatori e agli stessi Stati eludendo ed evadendo le tasse. Per ora solo le nazioni a regime autoritario, quelle più potenti, sono riuscite a porre dei paletti. Ecco, anche in questo campo, le democrazie rischiano di restare indietro e devono recuperare il terreno perduto.
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