Misteri del caso
Toni-De Palo
Sismi,Mossad,Olp

Italo Toni e Graziella De Palo nel settembre del 1980 scomparvero misteriosamente a Beirut, inghiottiti nel nulla. Non si seppe più niente di loro. Probabilmente sono stati uccisi, ma i loro corpi non sono mai stati ritrovati. I due giornalisti erano andati nella capitale libanese per scrivere degli articoli sulla guerra civile che dilaniava l’ex Svizzera del Medio Oriente. Marcello D’Angelo, giornalista e amico dei due inviati, ricostruisce l’incredibile vicenda ancora piena di tanti punti oscuri.

 

 

Delegazione dei giornalisti italiani a Beirut

Delegazione dei giornalisti italiani a Beirut

A squarciare il velo dell’omertà sulla vicenda di Italo Toni e di Graziella De Palo è anche Farouk Abillamah (responsabile della Sureté Generale libanese dal 1977 al 1982), in seguito divenuto ambasciatore a Parigi: in diversi colloqui riservati con il D’Andrea, conferma la pista palestinese per la sparizione dei due giornalisti. Ma ufficialmente l’ex capo della polizia politica libanese resterà sempre muto, rifiutando qualsiasi contatto con le autorità italiane.

Altro episodio inquietante della vicenda è quello messo in atto dall’ambiguo collaboratore dei servizi segreti francesi Elio Ciolini. Nella prigione di Champ Dollon il Ciolini contatta le autorità italiane (le quali non lesinano sul compenso) e afferma di essere in possesso di elementi determinanti sia per l’inchiesta sulla strage di Bologna (anche su questo fronte esistono legami controversi con la sparizione dei due giornalisti – ndr) sia sulla vicenda della scomparsa di Italo Toni e Graziella De Palo.

L’agente francese afferma che il 2 settembre 1980 i due giornalisti italiani si erano recati ad un appuntamento con un leader dell’Olp (effettivamente avevano appuntamento con gli uomini di Naief Hawatmeh). Il caso volle – racconta Ciolini – che i due capitassero nel bel mezzo di una riunione alla quale erano presenti, oltre al Ciolini stesso, alcuni esponenti della Oto Melara, Licio Gelli, Stefano delle Chiaie e l’allora ministro delle Partecipazioni Statali Gianni De Michelis. Argomento dell’incontro: una vendita di armi per canali clandestini in cambio di contratti commerciali.

Articolo di un quotidiano libanese

Articolo di un quotidiano libanese

A sostegno della sua tesi Ciolini offre un documento firmato da De Michelis, una sorta di liberatoria per il Ciolini stesso, contrario al rapimento dei due giornalisti. Al primo controllo calligrafico l’inganno appare evidente. Alla fine Ciolini cambia versione, non è lui ad aver assistito al summit, ma un collega dei servizi francesi.

Di altri episodi a dir poco “strani” e palesemente falsi, ce ne sono tanti che ci vorrebbe un libro per poterli raccontare tutti. Ma almeno un altro merita una breve menzione. Il fratello del generale Dalla Chiesa, Romeo, affermò che tra le carte scomparse del generale c’era anche qualcosa che riguardava i due giornalisti. Alla richiesta di spiegazioni però Romeo Dalla Chiesa, rispose scusandosi per aver toccato una ferita ancora aperta: «Preferisco tornare al mio silenzio», si limitò a dire.

È quindi fondamentale in tutta la vicenda la testimonianza di Lya Rosa, cittadina italiana per anni militante dell’Olp. Secondo la sua ricostruzione dei fatti la promessa di una visita al Sud Libano (zona interdetta all’epoca a qualsiasi giornalista occidentale) fu soltanto una scusa. In realtà alla sicurezza palestinese era arrivata un’imbeccata: Italo Toni è una spia. Vuole verificare le difese dell’Olp nel Sud del Libano. Secondo la Rosa, durante l’interrogatorio il Toni ammise le sue responsabilità.

Alcune firme di colleghi giornalisti

Alcune firme di colleghi giornalisti

Separati immediatamente dopo il sequestro i due giornalisti, gli uomini dell’Olp sottopongono ad un “duro” interrogatorio Italo Toni. Secondo la testimonianza agli atti (Lya Rosa), il giornalista confessa di essere stato avvicinato a Roma prima della partenza da una persona conosciuta da tempo che gli disse di essere del Sismi e che gli chiese di lavorare per lo stesso servizio; avrebbe dovuto visitare le difese sotterranee disposte dall’Olp nel Sud del Libano.

A condurre concretamente l’operazione sarebbero stati gli uomini del Fronte popolare di George Habbash. Condotti a Sidone sarebbero stati uccisi e lì sepolti. Ma non mancano versioni che vogliono Graziella viva e prigioniera a Sabra, dove sarebbe poi stata travolta dagli eventi.

A queste affermazioni fa riscontro la risposta di Abillamah a D’Andrea che gli chiedeva perché? «Forse i palestinesi avevano ricevuto qualche indicazione errata». Questa risposta però non trova spazio neanche nei fascicoli che compongono il lavoro dei giudici romani, Armati e Squillante. In ogni modo accortisi dell’errore, agli uomini dell’Olp non restava altro da fare che alzare un gran polverone.

Anzi tentare di depistare sul nemico falangista. Più volte Arafat puntò il dito contro i falangisti, affermando che Graziella era ancora viva e avrebbe fatto di tutto per restituirla sana e salva alla famiglia. Ma Arafat sapeva benissimo che i due giornalisti erano già morti, condannati forse dal doppio gioco messo in atto dal Sismi stesso, che da una parte tentava di acquisire informazioni riservate da passare al Mossad e dall’altra mostrava, al contrario, “grandi aperture” nei confronti dell’organizzazione palestinese. Una prova ulteriore, se necessaria, delle due anime che all’epoca coesistevano nel nostro Servizio per la sicurezza esterna.

Lettera di Spadolini

Lettera di Spadolini

Agli atti risulta comunque che il ministero dell’Interno considerava, negli anni ’60, Toni una “fonte” e il Sisde gli attribuiva legami con i servizi segreti nasseriani. Ora il Governo italiano, oltre che rendere pubbliche le ultime pagine ancora coperte dal segreto di Stato, dovrebbe pretendere dall’Autorità Palestinese (non mi risulta che all’attuale presidente dell’Olp Abu Mazen le nostre istituzioni abbiano chiesto di fare luce su quanto accaduto nel settembre del 1980. Forse sarebbe il caso di farlo!), un briciolo di verità, esigere una spiegazione, non è affatto escluso che i palestinesi abbiano tentato di mascherare con ogni mezzo le proprie ingiustificabili responsabilità per essere caduti nel tragico errore (o tranello).

In questa chiave potrebbe essere interpretata la battuta di Nemer Hammad: «Italo Toni era in malafede». L’Olp in ogni caso ha il dovere di dire la verità, soprattutto ora che quasi tutti gli “interpreti” della vicenda sono scomparsi. In caso contrario sui futuri rapporti con lo “Stato palestinese” graverà sempre l’ombra della storia di Italo Toni e Graziella De Palo.

Quinto articolo – Fine

I precedenti articoli sono stati pubblicati il 24, 26, 30 agosto e il 3 settembre.