Beffato dal ladro
e dalla burocrazia

 

Autobus a piazza VeneziaSono imbottigliato sul “23”, l’autobus percorre la fine di via Crescenzio, a due passi da San Pietro. Sono circa le 11,45 del 6 aprile 2016, una data da dimenticare. Per la folla quasi non si respira, non è certo una rarità a Roma. Ho una sensazione strana, provo quasi un brivido, sento la giacca più leggera. Istintivamente poggio la mano destra sulla tasca esterna: non trovo più il portafoglio! Grido: «Sono stato derubato! Al ladro! Fermate l’autobus!». Cala il gelo tra i passeggeri, tutti si guardano con sospetto. Nessuno si muove o parla.

Mi giro, affronto un tipo torvo dietro di me, con le mani in tasca del giaccone. Ha un atteggiamento nervoso e di sfida strafottente. Lo squadro e lo fisso negli occhi: «Mi ridia il portafoglio!». Non guarda me, ma gli altri e svicola: «Questo è matto!». L’autista improvvisamente apre le porte e l’uomo dei miei sospetti scende alla fermata insieme ad altre persone. A quel punto l’autobus si rianima, si solleva un coro di proteste: «È una vergogna! Siamo circondati dai ladri! La polizia non fa niente!». Un bengalese si avvicina e mi dice: «Sono i rom!». Rispondo: «Sono ladri, probabilmente italiani!».

Sono disperato. Ho perso tutto: soldi e documenti. Non ho il tempo di pensare su cosa fare. «Dig!, dig!, dig!». Gli sms arrivano a raffica sul telefonino e mi gettano nel panico: il ladro, fortunatamente senza successo, sta tentando di prelevare denaro con il mio bancomat, con quello di mia madre e con la carta di credito. Entro di corsa in un’agenzia, ha le insegne della mia banca e invoco una impiegata: «Sono un cliente. Sono stato derubato. Chiami il  numero verde e mi blocchi le carte!». Risponde serafica: «Ho il computer occupato, sto lavorando. Guardi sulla vetrata d’ingresso: c’è il numero verde, lo chiami!».

È solo l’inizio di un calvario burocratico. Molte volte la solidarietà e il senso del dovere delle persone non girano certo al massimo! Mi precipito: mi appunto il numero e telefono con il mio cellulare. Risposta surreale di una segreteria telefonica: «Questo numero va chiamato da un telefono fisso, con il cellulare deve chiamare un altro numero». Quasi non credo a quello che ascolto: un cartello in un’agenzia bancaria che dà un numero di emergenza da comporre solo dal telefono fisso e non dal cellulare! L’impiegata che “non ha il tempo” per chiamare dal suo telefono fisso dell’ufficio per soccorrere un cliente, che contribuisce a pagare anche il suo stipendio, continua placidamente a lavorare al suo computer senza nemmeno guardarmi.

Corro a casa di mia madre, fortunatamente là vicino. Mamma è anziana ed entra in fibrillazione, ma è una donna di carattere: mi vuol dare un bicchiere d’acqua per farmi rilassare. Ma la preoccupazione di fare presto non mi permette nemmeno brevissime soste. Mi precipito sul suo telefono fisso e chiamo il numero verde: denuncio il furto e blocco la mia carta di credito, il mio bancomat e quello di mia madre. A quel punto mi rilasso un po’, bevo un bicchier d’acqua, la faccio bere anche a mia mamma e corro al commissariato vicino a piazza Mazzini.

Corte di Cassazione

Corte di Cassazione

Entro. Mi indicano la sala d’attesa. Dopo pochi minuti vengo chiamato per sporgere la denuncia. Richiesta terribile: «Mi dia un documento!». Risposta sconsolata: «Non ho più nulla, sono stato derubato di tutto. Sono stato borseggiato su un autobus strapieno. Solo a casa mi è rimasto il passaporto». Il maresciallo mi dà un’occhiata comprensiva e mi porge un foglio: «Riempia questo modulo per denunciare il furto». Cerco di ricordare il contenuto del mio portafoglio volatilizzato: circa 300 euro, la carta di credito, i due bancomat, la carta d’identità, la patente, la tessera professionale di giornalista,l’abbonamento di aprile all’Atac, la tessera delle Librerie Feltrinelli. Ammutolisco davanti all’incubo di tanti possibili giri burocratici. Nello sconforto c’è una fiammella: «Passi più tardi al commissariato, forse potremo darle un duplicato della patente, altrimenti le consegneremo un attestato provvisorio per poter guidare la macchina».

Mamma mi rincuora e mi cucina un piatto di lenticchie con il pomodoro: buone, ma questi legumi sono il simbolo della mia giornata orribile da dimenticare e non ancora conclusa. Una volta povertà e vicissitudini erano sintetizzati con una battuta: solo un piatto di lenticchie! Temo altre brutte sorprese.

Vado nel primo pomeriggio nella mia agenzia bancaria per denunciare il furto e domando a una giovane impiegata di controllare se effettivamente sono stati bloccati carta di credito e bancomat. Apre un computer e mi getta nel panico: «Il bancomat è stato bloccato, la carta di credito è attiva!». Mi reggo sulla sedia e penso al ladro “con libertà di furto” ancora praticabile ai miei danni. Chiedo di chiamare il numero verde per una verifica. Mi porge il telefono stranita: «Ci parli lei, io non posso!».

Con voce alterata pretendo un chiarimento del rebus e un ragazzo cortese mi rassicura e mi fa calare la tensione: «È tutto bloccato!». L’impiegata della mia agenzia smanetta sul computer e alla fine svela il mistero: «La banca non ha più la convenzione con quel tipo di carta di credito, le notizie del blocco non ci arrivano subito, ma entro 48 ore». Sono sconfortato! E la potentissima informatica, il mito delle comunicazioni in tempo reale? L’era digitale? L’efficienza del servizio decantato ai clienti? Risposta in un consolidato burocratese bancario: «Non c’è più la convenzione!».

Mi precipito nella banca di mia madre temendo brutte sorprese analoghe e mi dirigo verso una funzionaria che conosco, dalla quale sono stato alcuni giorni prima. Mi riconosce e capisce al volo il problema. Apre il computer e conferma: «Il bancomat è bloccato». Poi un miracolo: infila le mani in un cassetto chiuso a chiave e mi dà un nuovo bancomat. Stampa una valanga di moduli: «Capisco, sua madre è anziana e si muove a fatica. Le porti a casa questi moduli da firmare e me li riconsegni domani. Non dica niente a nessuno!». Questa volta è andata bene: ho trovato umanità ed efficienza, due carte contro le angherie della cieca burocrazia.  La mia banca invece mi manderà a casa bancomat e carta di credito tra una decina di giorni.

In serata torno al commissariato. Un altro poliziotto di turno mi provoca una doccia fredda: «La sua patente non è duplicabile, è troppo vecchia perché emessa nel 1973. Le diamo un permesso di guida provvisorio. Se la fermeranno lo dovrà mostrare assieme alla denuncia di furto. Le do sei copie della denuncia di furto, le serviranno!». Mi viene un dubbio: «Se ho dimenticato qualcosa?». Risposta: «Può integrare la denuncia di furto fatta». Vado a dormire con l’ossessione degli altri giri burocratici da fare. Prima di addormentarmi mi rendo conto di un buco: ho dimenticato di denunciare il furto della tessera sanitaria!

La mattina seguente mi alzo presto, alle 6,30. Alle 8 faccio la spesa al supermercato e mi accorgo che mi hanno rubato anche “la tessera di punti” accumulati con la spesa. Cosa devo fare? La cassiera mi risponde solo con grugniti e gesti: alla fine riesco a capire che devo riempire dei moduli per una nuova tessera da consegnare a lei e poi chiamare il relativo numero verde. Ancora un numero verde! Chiamo il numero verde, racconto la vicenda del furto e mi stupisce l’efficienza: subito mi vengono trasferiti i punti dalla vecchia alla nuova tessera.

Carta d'identitàBuon segno! Mi faccio coraggio. C’è il problema della carta d’identità, della patente di guida e di tutto il resto…. Chiamo l’ufficio informazioni del comune di Roma, il servizio 060606. La voce di una giovane ragazza mi dà con competenza e precisione informazioni preziose: «Per chiedere la nuova carta d’identità deve andare in un municipio con tre foto tessera e un documento di riconoscimento. Per la patente le servono tre foto, di cui una autenticata in municipio. L’abbonamento mensile agli autobus se lo può far duplicare dall’Atac pagando solo 7 euro perché ha subito un furto. Presenti la denuncia alla polizia».

Questa seconda giornata di penitenza mi sembra cominciare meglio. È un abbaglio. Vado in un negozio di foto formato tessera e chiedo le istantanee necessarie. La ragazza annuncia titubante: «Ci provo, la macchina di stampa va in tilt». Mi siedo, mi pettino e scatta una foto. Digita dei numeri e dei codici sulla tastiera della stampante elettronica: si sentono strani rumori, ma niente fotografie. Fa una decina di tentativi mentre si forma la fila nel negozio. Si scusa, niente da fare.

Parto alla ricerca di un altro negozio di foto. Una signora mi dà una dritta: «L’ottico fa anche le foto tessera». Come mai la seconda attività dell’ottico? «È la crisi!». Entro, il negozio è tristemente vuoto. Saluto una giovane e bella ragazza in camice bianco e stivali. Mi fa accomodare in fondo al negozio. Imbraccia una grossa macchina fotografica. Mi dice: «Si sieda, giri un po’ la testa e mi guardi». Scatta, si avvicina, mi aggiusta il nodo della cravatta e torna a scattare. Penso: ce l’ho fatta! Ma non è così.

Il Campidoglio

Il Campidoglio

In tarda mattinata mi concentro per affrontare la burocrazia comunale senza perdere la calma. Arrivo trafelato al municipio di Circonvallazione Trionfale vicino casa mia e impallidisco: ribolle di gente inferocita. Un commesso annuncia stentoreo: «Niente carte d’identità!».  Solidarizza con i cittadini e li invita a protestare. Spiega: «Non funzionano i computer! Da ieri è saltato il server telefonico del palazzo! Non valgono le prenotazioni elettroniche per gli appuntamenti». Il verdetto è sconfortante quanto incerto: forse ripareranno il guasto domani, comunque entro qualche giorno. Forse! Tutti a casa!

Provo a dire che le prenotazioni si possono scrivere anche a penna. Aggiungo: «Quegli impiegati agli sportelli lavorano senza computer». Il commesso mi risponde a mezza bocca stizzito ma spunto un risultato: a uno sportello riesco a farmi autenticare una foto per chiedere una nuova patente. Spunto anche un’informazione che ne sconfessa un’altra avuta in precedenza: per ottenere una copia della tessera sanitaria, anch’essa scomparsa con il portafoglio, non devo andare alla Asl, ma all’Agenzia delle entrate.

In tarda mattinata vado in centro, a piazza della Torretta, all’ordine dei giornalisti. Entro nell’ufficio poco prima delle 13 e tiro un sospiro di sollievo perché lo sportello apre solo al mattino, non fa orario continuato ed è chiuso nel pomeriggio. Rispiego il mio calvario del borseggio e chiedo una nuova tessera professionale senza la quale, dopo 42 anni di lavoro, mi sento un po’ sperduto. Comunicazione secca: «20 euro, ripassi tra 10 giorni».

PatenteNel pomeriggio è la volta della patente. Spingo la porta di un’agenzia di pratiche auto in Prati, ma non si apre. Allora noto un cartello appeso alla porta: “Torno subito”. Faccio su e giù sul marciapiede ma il negozio resta sbarrato. Così decido di andare a bere un caffè in un bar per far passare il tempo. Ritorno e trovo l’agenzia aperta. Un’anziana signora mi sorride e mette le mani avanti: «Se la patente è vecchia sarà un lavoro più impegnativo e lungo…». Non riesce a finire la frase perché squilla il telefono: una, due, tre, quattro, cinque volte. Comincia a parlare di auto, di vendite, di passaggi di proprietà, di immatricolazioni, di taxi, di cooperative, di usufrutti, di uffici della Motorizzazione, di Pra (Pubblico registro automobilistico n.d.r.). È un tornado!

Spiega, discute, si scalda per farsi sentire. Con pazienza aspetto rassegnato, seduto davanti alla sua scrivania mentre la signora strilla e spiega al telefono, a un aiutante e a vari clienti, i misteri della burocrazia automobilistica. È una esperta dei meandri di questi uffici. Dopo una mezz’ora di conversazioni telefoniche concitate alla fine si rivolge a me, concentrato a non perdere la calma: «Lei è un tipo paziente…». Le porgo il permesso provvisorio a guidare rilasciatomi dalla polizia, tre fotografie di cui una autenticata, il passaporto, l’ultimo documento di riconoscimento rimastomi, la denuncia di furto.

Azzardo: «Quanto tempo passerà per riavere la patente? Questo furto mi ha mandato in tilt». Tocco un nervo scoperto: «Quanto tempo? Chi lo sa! Vedremo! Nei prossimi giorni farò una verifica e le farò sapere. La sua è una patente del 1973!». Mi lancia una sorprendente raccomandazione: «Non parli di furto, in questo caso si tratta di smarrimento». Sono incredulo: «Comeee?» Riprende soave: «Non c’è la prova di un borseggio. Come fa a dimostrarlo? Io scrivo smarrimento, come prevede la legge. Sono 60 euro, pagamento anticipato. Se poi la patente era in scadenza, allora ci vorrà anche una visita medica e il prezzo salirà». Mi consegna un attestato dell’avvio della procedura per avere la nuova patente. La saluto con una battuta: «Quindi io ho smarrito il portafoglio, non sono stato derubato! Arrivederci».

R.Ru.