La strega Matteuccia
volava su un caprone

Streghe sulle scope, malefici. Da oltre mille anni si raccontano le leggende sulle streghe di Benevento. Racconti fantastici si sono sommati a terribili processi nei quali sono state condannate le streghe. Ce ne parla Maria Luisa Berti.

Nella tradizione contadina del Sannio e dell’Irpinia, le leggende raccontano della strega Janara il cui nome deriverebbe da dianara, sacerdotessa di Diana, oppure dal latino ianua, porta.

Streghe sulle scope, Una donna bruciata in un filmato sulla caccia alle streghe

Una donna bruciata in un filmato sulla caccia alle streghe

Si diceva, infatti, che la strega Janara, per entrare nelle case, si infilasse sotto le porte nelle notti di Luna. Per evitare quella visita indesiderata, i contadini mettevano davanti alla porta una scopa e un sacchetto di sale grosso. Per entrare la strega doveva contare i fili della scopa e i grani di sale… arrivava così il sorgere del sole e lei doveva andarsene. La Janara di giorno era una donna comune ma, di notte, assumeva sembianze orribili: capelli sporchi, viso pieno di rughe, occhi indemoniati, denti aguzzi, unghie lunghe alle dita e piedi scalzi. Se fosse riuscita ad entrare in una stalla avrebbe potuto cavalcare una giumenta oppure intrecciare le criniere dei cavalli. Era una strega malvagia e feroce che doveva essere presa per i capelli se la si voleva catturare. Se fosse stata catturata, per essere liberata avrebbe promesso protezione per sette generazioni. A loro si dava la colpa per l’infertilità, per gli aborti e per i morti in culla. Le vittime preferite delle Janare erano i bambini.

Nella tradizione popolare si narrava di altre streghe, come la Manolonga, mano lunga, che abitava nei pozzi e vi faceva cadere i passanti, e la Zucculara, che portava zoccoli rumorosi ed era zoppa.

Alle origini il cristianesimo non perseguitò chi veniva ritenuto stregone o strega e rimase isolato il caso di Ipazia, matematica e scienziata, uccisa nel 415 da una folla inferocita di cristiani per aver usato arti magiche.

Foto del Museo delle Streghe a Benevento

Il “Canon Episcopi”, redatto nel 906 dal benedettino tedesco Regino di Prüm, conteneva le seguenti istruzioni: «I vescovi e i loro ministri vedano di applicarsi con tutte le loro energie per sradicare interamente dalle loro parrocchie la pratica perniciosa della divinazione e della magia, che furono inventate dal diavolo; e se trovano uomini e donne che indulgono a tal genere di crimini, devono bandirli dalle loro parrocchie, perché è gente ignobile e malfamata». Non sono solo le donne, secondo questo canone, a praticare arti magiche.

Dal XV secolo, si fecero sempre più frequenti la caccia alle streghe e i processi di stregoneria, soprattutto dopo la bolla di papa Innocenzo VIII, “Summis Desiderantes affectibus” (Desiderando con supremo ardore). L’enciclica riconosceva l’esistenza delle streghe e concedeva l’approvazione papale all’Inquisizione per conseguire la loro totale eliminazione.

Da un filmato sulle streghe processate e torturate dall’Inquisizione

I principi da lui enunciati vennero in seguito incorporati nel “Malleus Maleficarum”, Il martello delle streghe, (1486), scritto da Heinrich Kramer e Jacob Sprenger. È questo un trattato di una misoginia ignorante e presuntuosa, dove si legge che le donne, a causa della loro debolezza e del loro intelletto inferiore, sono predisposte a cedere alle tentazioni del diavolo. Nel titolo la parola maleficarum è al femminile e secondo gli autori la parola femina (donna) deriva da fe + minus (fede minore). Innocenzo VIII nominò Tomás de Torquemada come grande inquisitore di Spagna e questi fu il più feroce degli inquisitori.

C’erano segnali per individuare una strega: avere i capelli rossi; avere un neo nell’iride dell’occhio e all’interno della coscia (l’occhio del diavolo); avere la politeia, ovvero dei capezzoli in soprannumero per poter allattare il diavolo; possedere un gatto nero. C’era il marchio del diavolo, cioè l’insensibilità al dolore di alcune parti del corpo, parti protette da talismani o da misture di erbe e, per individuarlo, degli esperti setacciavano il corpo della presunta strega, trafiggendolo con spilloni. Le streghe avevano poi la capacità di galleggiare e, per questo, la sospettata veniva immersa per una decina di minuti nelle acque di un lago o di un fiume, con la mano destra legata al piede sinistro. Se la donna avesse galleggiato sarebbe stata una strega.

Tomás de Torquemada ritratto in basso a sinistra accanto al re di Spagna

Il primo processo di stregoneria nell’Italia centrale fu quello subito da Matteuccia da Todi, «donna di pessima condizione, vita e fama, pubblica incantatrice, fattucchiera, maliarda e strega», accusata di infanticidio, uso di riti magici di guarigione e di filtri d’amore. Durante il processo Bernardino da Siena suggeriva all’inquisitore le domande da fare e la donna, sotto tortura, confessò tra l’altro di aver volato verso il noce di Benevento in forma di gatta e a cavallo di un caprone (il diavolo). Nei verbali del processo è riportata la formula da usare per propiziare il volo: Unguento unguento, mandam a la noce de Benivento supra agua et supra vento et supra at omne maltempo. Matteuccia da Todi fu bruciata sul rogo il 20 marzo 1428.

Benevento e l’albero di noce compaiono in altri processi come in quello intentato nel 1456 contro Marianna di San Sisto, condannata al rogo, dove si parlò anche dell’unguento e di sabba. Nel XVI secolo nel Santo Uffizio di Roma, fu processata Bellezza Orsini, esperta di erbe medicinali e accusata di aver ucciso un giovane. Confessò tutto sotto tortura e si suicidò in carcere. Anche durante il processo contro Faustina Orsi, accusata di stregoneria e di omicidio, furono menzionate le streghe di Benevento. Faustina confessò tutto sotto tortura e morì sul rogo a 80 anni, Era il 1552.

Spesso erano ritenute streghe le levatrici, le prostitute o le guaritrici, che curavano con le piante officinali chi non poteva permettersi di andare da un medico e di curarsi con metodi costosi. Erano figure femminili, ritenute pericolose per motivi personali (qualche vicino invidioso) o sociali, per pura ignoranza e per superstizione. Talvolta servivano come capro espiatorio durante epidemie o carestie o altre situazioni di pericolo. Era un modo per la Chiesa di tenere la popolazione sotto controllo, vincolandola al terrore della punizione divina e alla paura del diverso. Era un modo per la società di relegare la donna ad un ruolo inferiore per dominarla e per affermare la superiorità dell’uomo. Rari furono infatti i casi di uomini accusati di stregoneria.

Secondo articolo – Fine