Streghe sulle scope, malefici. Da oltre mille anni si raccontano le leggende sulle streghe di Benevento. Racconti fantastici si sono sommati a terribili processi nei quali sono state condannate le streghe. Ce ne parla Maria Luisa Berti.
La leggenda delle streghe di Benevento si è diffusa con l’arrivo nel 571 dei Longobardi in una terra di popolazione cristiana, dove però sopravvivevano culti per divinità femminili pagane: Diana, Iside, Ecate. Che le radici della stregoneria in questa zona risalgano al VI secolo è testimoniato nel saggio: Della superstitiosa noce di Benevento di Pietro Piperno (1639). Qui vi si legge.
«Un certo Lamberto Alotario […] alla vigilia del SS. Corpo di Gesù Cristo, a tarda ora, sotto la luce dell’umida luna, si allontanò dalla nostra città. Appena lontano due miglia, vide nella pianura presso il fiume Sabato, nel territorio del fertile fondo dell’illustrissimo patrizio beneventano Francesco Ianuario, uomo adorno di ogni virtù, una grande turba di uomini e donne tripudianti e cantanti: ben venga il giuvedì e venerdì, e credendo che fossero mietitori e spigolatrici, avvicinatosi ad essi, con ritmica e canora voce, aggiunse in replica: e lo sabbato e la domenica. Questa facezia, benché egli fosse gobboso e forestiero, piacque a tutti ed egli si lasciò andare al tripudio. Ma, compiute le danze, sino all’esaurimento, sotto un alto, spazioso e grande noce, si avvicinarono a un luogo non lontano dal fiume, dove molte mense di cibi succulenti erano pronte. Egli forse per fame o per ambizioso gusto di gioco, prestando fede agli ospiti, si adagia per primo a tavola. Quand’ecco un demonio, da tergo, con forza e arte ineffabili, con intenso ma temporaneo dolore e mirabile celerità, adeguando, dislocate le vertebre, la protuberanza gibbosa sugli omeri, la fece uscire davanti al petto. E mentre egli esclamava: O Gesù! O Vergine Maria!, tutti d’isparvero d’incanto con le vivande e i lumi. Poi, toccandosi con la mano il tergo, non trovò più la gobba. E la elevazione gibbosa che gli occhi prima non vedevano, ora vedono davanti come un terribile e lamentevole impedimento. Lamberto, dunque, fattosi coraggio, comprende che quelle donne erano streghe».
I Longobardi, anche se convertiti al cristianesimo, continuavano a praticare un loro tradizionale rito pagano, in onore del dio Wotan, presso il fiume Sabato. Qui, all’epoca del duca longobardo Romualdo I, i guerrieri appendevano la pelle di un caprone al ramo di un noce, galoppavano freneticamente attorno all’albero tentando di strappare, con le loro lance, lembi di quella pelle di cui poi si cibavano per impossessarsi della forza in essa contenuta. Sconvolti da quel rito, i cristiani cominciarono a parlare dell’opera del diavolo e delle streghe: era per loro un sabba.
Secondo la leggenda il vescovo Barbato, poi patrono di Benevento, avrebbe fatto sradicare quel noce e avrebbe fatto lì costruire la Chiesa di Santa Maria in Voto. Il fatto pare confermato da un’incisione beneventana del XVIII secolo raffigurante l’abbattimento del noce delle streghe da parte del vescovo. Secondo la leggenda, mentre si estirpava l’albero, dalle radici venne fuori un serpente: il diavolo. Nel Cinquecento si riaccesero le dicerie dopo che fu ritrovato un mucchio di ossa sotto un noce.
Durante tutto il Medioevo la popolazione credeva ancora alle streghe soprattutto dopo che una donna, accusata di stregoneria, ebbe a raccontare che le streghe ancora si riunivano attorno ad un albero di noce e lo raggiungevano volando grazie ad un unguento, che si spargevano sul corpo nudo.
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