Acquedotti e Divino Amore
i fari dell’Appia Antica

L’Appia Antica fu tante cose diverse prima per la Repubblica e poi per l’Impero Romano. Prima di tutto era la via consolare più importante, l’autostrada che collegava Roma verso sud alla Magna Grecia, alla Grecia e all’Oriente. Era una strada ardita dal punto di vista ingegneristico che superava colline con ponti mozzafiato, tagliava promontori e asperità del terreno con grandi sbancamenti. Collegava militarmente, commercialmente e culturalmente civiltà diverse. Sul suo percorso fiorivano terme, circhi, acquedotti, ville ma anche mausolei e catacombe. Ce ne parla in dettaglio Maria Luisa Berti.

Acquedotti, L'Acquedotto Claudio accanto all'Appia Antica

L’Acquedotto Claudio accanto all’Appia Antica

Il Parco degli Acquedotti si estende tra il quartiere Appio Claudio, Via delle Capannelle e la linea ferroviaria Roma-Napoli. Era una campagna romana, che collegava i Colli Albani alle porte della città, dove convergevano ben undici acquedotti che assicuravano alla città un rifornimento idrico abbondante e di qualità.
Qui si possono ammirare i resti di sei di quegli antichi acquedotti. Il più lungo era quello dell’Aqua Marcia, costruito dal pretore Quinto Marcio Re (144- 140 a.C.), che prendeva l’acqua dalle sorgenti dell’Aniene e terminava a Porta Collina, rifornendo idricamente il Campidoglio, il Celio e l’Aventino. Per Plinio il Vecchio era “clarissima aquarum onmnium”, la più pura di tutte le acque. Poi vi furono sovrapposti gli acquedotti dell’Aqua Tepula e dell’Aqua Iulia. L’acquedotto dell’Aqua Claudia, iniziato da Caligola nel 38 d.C. e finito da Claudio nel 52 d.C., presenta poderose arcate in blocchi di tufo, che sostengono arcate che potevano raggiungere i 28 metri d’altezza.

Acquedotti, Arcate dell'Acquedotto Claudio

Arcate dell’Acquedotto Claudio

L’Anio Novus, opera anch’esso di Caligola e Claudio, condivideva gran parte del percorso con l’Aqua Claudia. Attingeva l’acqua dalle sorgenti dell’alta valle dell’Aniene, nei pressi di Subiaco, ma l’acqua arrivava torbida e veniva decantata in un bacino, la piscina limaria, senza successo. Alcuni tratti degli acquedotti Marcio, Tepula e Iulia furono distrutti nel Cinquecento per costruire l’acquedotto Felice, che prende nome da Felice Peretti, poi Papa Sisto V, che lo fece edificare. L’acquedotto alimenta un laghetto che dà origine a un corso d’acqua e ad una cascata.

La tenuta di Tor Fiscale prende nome dal tesoriere pontificio fiscale, Filippo Foppi, che acquistò la torre di questa tenuta nel Seicento. Si trattava di un fondo agricolo. Un documento del 1277, infatti, attestata la cessione di questa proprietà con un mulino e delle vigne.
Possente architettura militare, la torre fu costruita tra il XII e il XIII secolo, dove ora si intersecano gli acquedotti Claudio e Marcio e i condotti a loro perpendicolari delle Aquae Tepula e Iulia. Poi si aggiunse l’acquedotto Felice. La torre, alta 30 metri, permetteva il controllo della tenuta che si estendeva, per centinaia di ettari, tra la Via Appia e la Via Latina.

Acquedotti, Gli acquedotti nella Tenuta di Tor Fiscale nel Parco dell'Appia Antica

Gli acquedotti nella Tenuta di Tor Fiscale nel Parco dell’Appia Antica

A sinistra di Via della Caffarella, una stradina porta ad un antico mulino e ad alcune costruzioni rurali, qui sorge un monumento che sarebbe stato costruito per diventare il Sepolcro di Annia Regilla, della nobile famiglia degli Annii, sposa di Erode Attico (140 d.C) che fu precettore degli imperatori Marco Aurelio e Lucio Vero e a cui portò in dote vasti terreni sull’Appia.
Si tratterebbe invece del tempio del dio Redicolo, Infatti, secondo una leggenda risalente ai secoli XVII-XVIII, in questo luogo sorgeva il “Campus Rediculi”, un luogo sacro a Redicolo, il dio che proteggeva il ritorno dei soldati romani. Il monumento in cotto, a pianta quadrangolare, ha però le caratteristiche tipiche dei sepolcri dell’età degli Antonini (II sec. d.C.)

Il Parco delle Tombe nel quartiere Tusculano è attraversato dalla Via Latina, il cui selciato è ancora visibile. Ai lati dell’antica via si possono ammirare le ricche tombe del I e II secolo, che conservano le decorazioni policrome sulle facciate e all’interno; l’intonaco dipinto e gli stucchi delle volte; gli affreschi delle pareti e i mosaici dei pavimenti. Comprende, tra gli altri, il Sepolcro Barberini, quello dei Pancrazi, quello dei Valeri e la Villa Demetriade.

Casale nel Parco dell’Appia Antica

Il Sepolcro dei Barberini prende nome dalla nobile famiglia romana dei Barberini, ultima proprietaria della Tomba dei Corneli, costruita nel II secolo, al tempo degli imperatori Antonini.
È un monumento a tempietto a due piani con una camera funeraria sotterranea. Nel XVIII secolo fu trasformato in un fienile ma sono ancora visibili parte del pavimento a mosaico e l’intonaco della volta del secondo piano, affrescato su uno sfondo rosso con personaggi vari, uccelli, animali marini, amorini e vittorie alate su bighe. La camera sepolcrale dell’ipogeo presenta strutture a corridoio per le sepolture. Sul Sarcofago Barberini, qui ritrovato e conservato nei Musei Vaticani, è raffigurato il mito di Protesilao e Laudamia.

Protesilao aveva da poco sposato Laudamia quando partì per Troia dove, appena sbarcato, fu ucciso. Pare che un oracolo avesse profetizzato che il primo greco sbarcato sulle spiagge troiane, sarebbe stato ucciso. Stava per sbarcare Achille quando la madre Teti spinse avanti Protesilao che fu subito ucciso da Ettore, il figlio del re Priamo. Protesilao, il cui nome deriva dal greco protos, cioè il primo, sceso all’Ade, ottenne dagli dei il permesso di tornare per un giorno da Laudamia. La donna, alla partenza dell’amato, fece costruire a somiglianza del marito una statua con cui trascorreva giorni e notti. Il padre, preoccupato, fece sciogliere la statua in un calderone di olio bollente in cui, disperata, si gettò la figlia.

Ingresso del Santuario della Madonna del Divino Amore accanto alla via Appia

Il Sepolcro dei Pancrazi rende nome dal Collegio funeratizio dei Pancrazi. Tali collegi erano associazioni che si occupavano di dare degna sepoltura ai loro membri. Il sepolcro è oggi visibile tramite una struttura moderna che protegge i resti antichi, conservati fino a un metro da terra. Il primo ambiente in cui si entra presenta un pavimento a mosaico con tessere bianche e nere e scene marine.

La prima camera sotterranea ha una volta a botte affrescata con figure femminili, soggetti mitologici, animali, paesaggi naturali e architettonici. Ai lati c’è un basamento ad archetti di laterizio rosso e stucchi ben conservati. Vi si trova un sarcofago che in un tondo centrale raffigura i due coniugi qui sepolti.
La seconda camera ha una volta a crociera con affreschi policromi di paesaggi, uccelli decorazioni geometriche, con stucchi bianchi di scene mitologiche e, nel tondo centrale, un personaggio seduto su un’aquila. Un solo sarcofago in marmo si trova al centro dell’ipogeo, mentre gli altri qui ritrovati sono conservati nei Musei Vaticani.

Dietro questo sepolcro sorgeva  la Villa di Demetriade.  La grande villa fu costruita nel II secolo, forse dalla famiglia dei Valeri Paullini. Poi in età Adrianea fu acquistata dai Servilii che l’ampliarono ma che furono sterminati dall’imperatore Commodo. La villa fu confiscata e divenne patrimonio imperiale finché fu acquistata, in età costantiniana, dagli Anicii, di cui faceva parte Demetriade.

Chiesa della Madonna del Divino Amore

La villa divenne sempre più grande e sfarzosa; forse era dotata di uno stadio e di un ambulatio, un percorso per le passeggiate dopo pranzo. Era fornita di due accessi e quello secondario immetteva in un cortile porticato da cui si accedeva al peristilio, qui si affacciava la villa con i magazzini laterali per conservare grano, carri ed altro. Demetriade fece costruire nella sua proprietà la Chiesa di Santo Stefano a tre navate. Nel 1964 due terzi del parco furono destinati alla costruzione di campi sportivi; perciò, i resti della villa sono stati ricoperti per salvaguardali ed ora sono visibili solo i ruderi della basilica.

Il Sepolcro dei Valeri è un edificio costruito sulle murature antiche tra il 1859 e il 1861 a protezione degli ambienti ipogei. Sono conservate due scale simmetriche d’accesso e due camere sepolcrali. La volta a botte a crociera e le lunette presentano una ricca decorazione in stucco bianco con soggetti dionisiaci, animali marini e figure femminili dentro medaglioni e riquadri. Il tondo centrale reca una figura femminile velata portata, verosimilmente, nel mondo dell’al di là, sul dorso di un grifone.  

Immagine della Madonna del Divino Amore

L’area del Divino Amore, nel comune di Marino, solo dal 2018 fa parte del Parco Regionale dell’Appia Antica, dopo lunghe controversie in merito alla cementificazione di questa zona e dopo la lunga lotta dell’ADA (Comitato Argine Via Divino Amore) che, per la sua salvaguardia, aveva proposto il suo inserimento nel Parco. Si tratta di una vasta campagna ricca di pascoli e vigneti, dove sorge il Santuario della Madonna del Divino Amore composta da due chiese. Quella più antica risale al 1745, mentre la nuova è del 1999. Secondo la leggenda la sua costruzione è legata ad un evento miracoloso.
Nel 1740 un pellegrino, diretto alla Basilica di San Pietro, che si era smarrito nella campagna, si diresse verso un castello ma fu seguito da un branco di cani randagi. Accortosi che sulla torre del castello c’era un’icona con l’immagine della Madonna col Bambino, supplicò la vergine di salvarlo e subito i cani fuggirono via. Il 19 aprile 1745, lunedì di Pasqua, l’icona venne trasferita sull’altare maggiore della chiesa costruita vicino alla torre, che divenne meta di pellegrini, e tuttora ogni estate i Romani vi si recano in un pellegrinaggio notturno.

A Frattocchie, vicino all’attuale Santa Maria delle Mole, sorgeva la città romana di Bovillae, dove finiva il primo tracciato urbano della via consolare e dove ora finisce il Parco Regionale Archeologico della Via Appia Antica.

Decimo articolo – Segue