L’Appia, l’autostrada di
Appio Claudio Cieco

Il Ponte di Ariccia sul quale passa la via Appia

L’Appia Antica fu tante cose diverse prima per la Repubblica e poi per l’Impero Romano. Prima di tutto era la via consolare più importante, l’autostrada che collegava Roma verso sud alla Magna Grecia, alla Grecia e all’Oriente. Era una strada ardita dal punto di vista ingegneristico che superava colline con ponti mozzafiato, tagliava promontori e asperità del terreno con grandi sbancamenti. Collegava militarmente, commercialmente e culturalmente civiltà diverse. Sul suo percorso fiorivano terme, circhi, acquedotti, ville ma anche mausolei e catacombe. Ce ne parla in dettaglio Maria Luisa Berti.

La Via Appia, la “Regina Viarum”, fu costruita a partire dal 312 a.C. dal censore Appio Claudio Cieco sul tracciato di una strada preesistente, che collegava l’Urbe ai Colli Albani. Aveva lo scopo di facilitare lo spostamento delle legioni verso Capua e verso il meridione, dove Brindisi era il porto più importante verso l’Oriente per il commercio e per le future conquiste. Da Capua la consolare fu prolungata nel corso del III sec. a.C. fino a Maleventum, poi a Taranto e infine a Brindisi.

Appia, Un tratto di via Appia Antica

Un tratto di via Appia Antica

La consolare divenne subito un’importante via commerciale verso la Magna Grecia aprendo la società romana alla cultura greca. Si tratta di una grandiosa opera di ingegneria. Per la sua realizzazione furono costruiti terrapieni, terrazzamenti, viadotti, ponti per superare le difficoltà della natura. Soprattutto nell’area delle Paludi Pontine furono necessarie opere di bonifica, realizzate dall’imperatore Traiano. Inizialmente la via doveva essere in terra battuta e ghiaia.
Nel 295 a.C., come testimonia Livio, il tratto dell’Appia fino alla Caffarella era pavimentato in tufo, ma dopo tre anni fu lastricato con basoli di selce fino a Bovillae, odierna Frattocchie, e in età imperiale il basolato interessò tutto il tratto extraurbano.
La via attraversava una campagna con villaggi di contadini che, negli ultimi anni della Repubblica e in età imperiale, furono sostituiti da grandi ville. Lungo i margini furono costruiti, da famiglie nobili o ricche, sepolcreti di ogni tipo per testimoniare la loro importanza e la grandezza di Roma.

Nel tratto da Roma a Capua furono crocifissi, per ordine di Crasso, gran parte degli schiavi che, guidati da Spartaco, si erano ribellati dando inizio alla Terza Guerra Civile. Gli imperatori Augusto, Vespasiano, Traiano e Adriano fecero poi fare lavori di restauro e di ampliamento.

Cesare Ottaviano Augusto e dietro il Foro dell’imperatore Traiano

La “Regina Viarum” era lunga 365 miglia, circa 540 km e occorrevano 13/14 giorni di viaggio per raggiungere Brindisi. Per favorire i viaggiatori lungo il suo asse furono costruite mutationes e mansiones. Le mutationes, che sorgevano ogni 12/18 miglia, erano stazioni di ristoro per veicoli e animali, dove carrettieri e maniscalchi potevano trovare i servizi necessari e dove c’erano veterinari per curare i cavalli. Qui potevano sostare i messaggeri a cavallo del corpus publicus, il servizio postale creato dall’imperatore Augusto.

Ogni 20 miglia c’erano le mansiones, stazioni di posta per il ristoro e il riposo dei viaggiatori e dei cavalli. Alberghi, osterie, impianti termali, servizi per i viaggiatori, organizzati dai curatores, garantivano i collegamenti e gli agi del viaggiare.

C’erano poi gli itineraria, con l’indicazione delle città, delle stazioni di posta e delle relative distanze. Potevano essere in forma di testo o redatte graficamente, come la Tabula Peutingeriana. L’Itinerarium Antonini databile tra il III e IV secolo, all’epoca di Diocleziano, contiene gli itinerari per viaggiare in Britannia e anche un itinerario marittimo. Pare faccia riferimento ad un’indagine organizzata da Cesare e proseguita da Ottaviano.

Dalla via Appia a Capua partiva la Via Rhegum Capua, chiamata anche Via Popilia o Via Ania, costruita nel 132 a.C., che raggiungeva Messina e, passato lo stretto, la Sicilia. Qui la Via Pompeia arrivava a Siracusa e la Via Valeria giungeva a Lilibeum, favorendo così il controllo dell’isola, “il granaio di Roma”.

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