«Civis romanus sum». Boris Johnson ama la civiltà romana e greca, ama sorprendere amici e avversari. La sua vittoria elettorale nel Regno Unito era attesa, ma pochi si aspettavano il trionfo. Il premier britannico ha ottenuto un successo travolgente nelle elezioni politiche anticipate: con il 43,6% dei voti, grazie al sistema maggioritario, ha incassato ben 365 seggi, la maggioranza assoluta alla Camera dei comuni.
Ha oltre 40 deputati in più rispetto alla maggioranza assoluta a Westminster, ha portato il Partito conservatore ai migliori risultati incassati dall’era di Margareth Thatcher negli anni Ottanta mentre i laburisti di Jeremy Corbyn sono sprofondati a 203 seggi (il 32,2% dei voti), la peggiore disfatta dal 1935.
Ha cavalcato furiosamente l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea decisa nel referendum del 2016 e per tre anni restata sospesa nel limbo anche per le sue precedenti sconfitte. Dopo il successo alle politiche del 12 dicembre ha confermato: «Andremo avanti con la Brexit senza se e senza ma». Tuttavia ha avvertito: «Adesso uniamo il Paese». In sintesi: vuole dare l’addio alla Ue entro il 31 gennaio, come concordato con Bruxelles perché ha i numeri alla Camera dei comuni per far passare l’accordo da lui firmato ad ottobre con Bruxelles sulle modalità del divorzio. Ma con quel «adesso uniamo il Paese» sembra intenzionato a discutere con l’Europa una nuova intesa di collaborazione che non danneggi l’economia delle isole britanniche.
Boris Johnson, 55 anni, diploma a Eton e laurea in lettere antiche a Oxford, è uno strano populista sovranista. Alterna errori, gaffes a intuizioni importanti. Contesta le elite, ha sottratto al Partito laburista una parte del suo elettorato popolare ed operaio ma fa parte della classe dirigente britannica. Il padre era eurodeputato, lui è stato ministro degli Esteri e sindaco di Londra prima di divenire premier di Sua Maestà.
Populismo sovranista sì, rivendicazione della totale indipendenza di Londra da ogni potere internazionale pure, ma Boris Johnson non vuole scontentare i tanti europeisti che hanno votato per lui, considerandolo il male minore. Non a caso il premier britannico e leader dei Tories tende a ripristinare le tradizioni politiche: ha rinsaldato lo storico bipartitismo tra conservatori e laburisti azzerando il passato boom del Brexit Party di Nigel Farage (zero seggi alle elezioni politiche). Non era per niente scontato. Farage, lo scatenato leader sovranista dell’addio del Regno Unito alla Ue nel referendum del 2016, è l’estremista populista che ha ottenuto ben il 32% dei voti appena sette mesi fa alle consultazioni europee dello scorso maggio.
Johnson è un personaggio istrionico. L’uomo dalla chioma bionda intemperante e scapigliata, è un sovranista fuori dagli schemi: vuole vietare l’ingresso nel regno Unito agli immigrati non professionalmente qualificati ma presiede un governo pieno di ministri di origine asiatica ed africana. I suoi comizi sono affollati da persone di ogni etnia e religione, provenienti da ogni lontano angolo dell’ex Impero Britannico. Non c’è nessuna traccia di razzismo nella sua politica, al contrario di altri leader populisti europei. Anzi, lui stesso conta tra i suoi antenati anche ascendenze turche e circasse.
È un uomo stravagante, vorace, eccessivo. Mangia molto (stazza oltre 100 chili), è appassionato di rugby, bicicletta, sci. Ama vantare la propria virilità, più volte sposato, ha una compagna di 24 anni più giovane con la quale litiga furiosamente, tanto da indurre i vicini a chiamare la polizia.
È stato un giornalista come Winston Churchill (al quale ha dedicato un libro) a cui ama paragonarsi con un’analogia: egli ha combattuto con decisione l’Unione Europea e il suo illustre predecessore alla guida del governo britannico il nazifascismo. Come Churchill ama dipingere e ha il mito della Grecia antica: si è ritratto in toga e ha sulla scrivania un busto di Pericle, l’inventore della democrazia ad Atene.
Donald Trump, un altro populista, lo festeggia. Si è congratulato per la vittoria elettorale e lo ha invitato a dare un taglio netto con l’Europa e a guardare al di là dell’Oceano Atlantico per siglare una nuova alleanza dal sapore anglosassone. Il presidente degli Stati Uniti d’America lo ha sollecitato a concludere «un nuovo vasto accordo commerciale dopo la Brexit».