Da Franceschini la vera
“pugnalata” a Conte

Scissione del Pd, Giuseppe Conte

Giuseppe Conte

«Perplessità». Fonti di Palazzo Chigi hanno usato un sostantivo eufemistico, diplomatico per commentare la scissione del Pd realizzata da Renzi. «Perplessità» fa emergere con toni morbidi la collera di Giuseppe Conte verso Matteo Renzi. Il “senatore semplice” di Firenze ha avvertito il presidente del Consiglio della scissione del Pd con una semplice telefonata nell’immediata vigilia del 17 settembre, il giorno nel quale ha annunciato pubblicamente il divorzio da Zingaretti.

È un brutto colpo per Conte e per l’esecutivo giallo-rosso nato ai primi di settembre tra mille ostacoli diversi. Il “governo di svolta” parte azzoppato. Passerà da tre soci di maggioranza (M5S, Pd, Leu) a quattro (con Italia Viva di Renzi).

Scissione del Pd, Matteo Renzi

Matteo Renzi

L’ex segretario democratico già presidente del Consiglio ha garantito il suo sostegno a Conte («il governo può stare tranquillo») ma inevitabilmente aumenteranno le difficoltà e l’instabilità. Se non andrà peggio. È famosa l’assicurazione data da Renzi a Letta presidente del Consiglio nel gennaio 2014: «Enrico stai sereno». Subito dopo l’allora segretario del Pd sostituì Letta a Palazzo Chigi.

In realtà, però, la “pugnalata” a Conte non è arrivata tanto da Renzi, quanto da Dario Franceschini. Il ministro dei Beni culturali ha sferrato la “pugnalata” sul palcoscenico internazionale. La ministra tedesca dei Beni culturali Michelle Müntefering gli ha domandato in un incontro a Milano: «Cosa sta facendo Renzi ora?». Franceschini, invece di minimizzare le difficoltà, ha risposto brutalmente: «Oggi è un grande problema». È stato un colpo micidiale sferrato al presidente del Consiglio dall’uomo che per primo e con maggior tenacia ha sostenuto la necessità del governo con i grillini, i nemici di sempre. Il potente capo delegazione del Pd al governo con o senza distrazione ha sferrato una micidiale “pugnalata” a Conte.

Scissione del Pd, Dario Franceschini

Dario Franceschini

La vicenda ricorda quella, tutta democristiana, di Aldo Moro e Carlo Donat Cattin. Nel 1964 Moro, allora presidente del Consiglio, convocò Donat Cattin a Palazzo Chigi e gli chiese di usare dei «mezzi tecnici» per impedire l’elezione di Giovanni Leone a capo dello Stato, dribblare quella di Amintore Fanfani per arrivare a Giuseppe Saragat. Quali mezzi tecnici? L’effervescente capo di Forze Nuove rispose ai suoi ­­collaboratori dopo il colloquio con Moro: «Conosco solo tre mezzi tecnici». Ed elencò: «Il pugnale, il veleno e i franchi tiratori». Nelle votazioni i franchi tiratori impallinarono Leone e alla fine fu eletto presidente della Repubblica il socialdemocratico Saragat.

Siamo in un’altra era politica, si parla di Palazzo Chigi e non di Quirinale, i protagonisti sono diversi. Le differenze sono enormi però c’è un elemento in comune: humus democristiano. Franceschini è un ex Dc, Conte è un discepolo di Moro, Renzi viene dalla tradizione scudocrociata ed è un estimatore di Fanfani.