Libri. Viaggio
tra 37 ponti
C’è un fiume
che passa

A Roma oggi c’è ancora chi sotto i ponti ci dorme. È sufficiente una passeggiata sui lungotevere per vedere tende da campeggio e giacigli abborracciati al meglio, fin nel cuore della capitale, protetti dalla volta di pietra, quasi a ricordarci proprio che un ponte vuol dire tante cose, non solo un mezzo per attraversare un fiume.

Ponti, Copertina di "C'è un fiume che passa"

Copertina di “C’è un fiume che passa”.

Si pensi a quello di Mostar, ponte ottomano nella cittadina della Bosnia Erzegovina, distrutto nel 1993 dalle forze croato-bosniache anche perché era il simbolo della contaminazione culturale della ex Jugoslavia e i musulmani andavano separati anche fisicamente dai cristiani, col sangue di un massacro.

A Roma, a volte i turisti credono di passare sul ponte più antico che c’è; si scattano un selfie, ma non sanno di essere caduti in errore, o meglio di essere stati male informati dalla guida. Il ponte in pietra, noto anche come ponte Aventino o ponte Marmoreo, che collega i quartieri dell’Aventino e di Testaccio non ha nulla a che fare col suo nobile antenato se non il nome.

Quello era in legno, costruito attorno al settimo secolo avanti Cristo quando a Roma regnava Anco Marzio, per collegare il centro della città con la riva destra all’altezza del colle del Gianicolo, in una posizione strategica che teneva conto della voglia degli etruschi di entrare nell’urbe, mentre questo di oggi è in pietra, assai più giovane, perché inaugurato nel 1918, ed è opera dell’architetto Piacentini.

Il primo si chiama Sublicio, dalla parola della lingua dei Volsci “sublicae”, che per l’appunto significava che era fatto col legno, (poi ponte Emilio, ponte Orazio Coclide, ponte di Teodosio); il secondo si doveva chiamare ‘Aventino’, ma siccome quello vero non c’era più …

Ponti, Ponte Principe Amedeo Savoia Aosta e ponte Vittorio Emanuele

Ponte Principe Amedeo Savoia Aosta e sullo sfondo ponte Vittorio Emanuele

Ponte Sublicio è comunque solo uno dei 37 ponti che attraversano il Tevere a Roma e ognuno ha una storia, una sua vita propria, il fascino di una costruzione che racchiude in sé non solo la necessità pratica dell’attraversamento di un corso d’acqua, ma simbolicamente il rapporto tra realtà diverse, anche molto distanti tra loro. Si pensi cosa ha significato per Roma prima il rapporto col vicino popolo etrusco e poi con lo Stato del Vaticano. Unire le due sponde voleva anche dire ‘comunicare’ con una realtà affatto diversa, culturalmente, politicamente, economicamente.

Negli anni bui di Trump i muri, anche metaforicamente, hanno ripreso a spuntare come funghi, e sempre per respingere, impedire di entrare, per separare ricchi e poveri, liberi e oppressi. È una storia che si ripete.

Ponte di Castel Sant'Angelo

Ponte di Castel Sant’Angelo

I romani erano un popolo di soldati e di ingegneri, di grandi qualità fisiche e intellettuali perché non si spiegherebbe altrimenti come abbiano conquistato un impero e lo abbiano disseminato di strade, acquedotti, terme, fortezze e … di circa 900 ponti tra cui alcuni imponenti come il ponte di Costantino sul Danubio presso Sucidava, lungo ben 2437 metri. Un colossale melting pot, la prima globalizzazione avvenuta con una fusione di culture diverse, tutto unito ‘in rete’ dalla lingua latina, dal diritto romano, ma grazie anche a tante strade e tanti ponti.

Ci hanno lasciato opere notevolissime che hanno resistito benissimo nei secoli, un vero sberleffo per la qualità delle opere moderne tutto acciaio e calcestruzzo, che invece deperiscono velocemente e in qualche caso, come col ponte Morandi a Genova, in maniera drammatica.

Navigando sul Tevere con i libri della casa editrice Ponte Sisto

Navigando sul Tevere con i libri della casa editrice Ponte Sisto

Ma per tornare ai 37 ponti capitolini, prima che fosse unita da tanti ponti, nella Roma papalina ci voleva mezzo bajocco per attraversare faticosamente, e qualche volta pericolosamente, un fiume che ha anche una vocazione torrentizia, in barche tirate a mano con delle funi stese tra le due sponde. Tutti i passaggi avvenivano tra la Dogana di Ripetta e il porto di Ripa Grande perché allora il Tevere era utilizzato soprattutto per il trasporto delle merci, una via d’acqua vitale per l’esistenza della città.

Ponte Sublicio è stato il primo e ponte della Scienza, l’ultimo in ordine di tempo, aperto al transito il 29 maggio 2014 ed Emanuela Sanna, ispirata dal suo rapporto incidentale con uno dei più bei ponti della città, ponte Sisto, ha scritto un libro per raccontarci queste 37 storie; sono le 37 biografie dei ponti romani che accompagnano il lettore in un viaggio affascinante. Difficile resistere alla voglia di conoscerli più da vicino, saperne di più su cosa stiamo camminando anche se ognuno di noi, quando attraversa un ponte, prima o poi ha provato comunque la sensazione che sotto i suoi piedi c’era qualcosa di più che non un pezzo di strada, un qualcosa che proprio muto non era.

Anche la presentazione del libro è stata una simpatica occasione di conoscenza dei ponti romani perché è avvenuta con il battello Cornelia che ha risalito il Tevere da ponte Sisto fino a ponte Matteotti, accompagnata dagli interventi di Umberto Marroni, Daniela Brancati e Dante Mortet.

 

 

———————————-

C’è un fiume che passa.

Alla scoperta dei ponti di Roma

di Emanuela Sanna

Copertina flessibile – Euro 12 – pagg. 156

Editore: Ponte Sisto

Collana: Segreti e tesori di Roma