Faim: ora una rete
per i giovani emigrati

Non esiste solo il problema dell’immigrazione in Italia dei disperati in fuga dall’Africa e dal Medio Oriente, c’è anche quello dell’emigrazione dei giovani italiani all’estero. Emigrano “cervelli” e “braccia” in cerca di fortuna in Europa, Stati Uniti, Australia. È la nuova emigrazione italiana che segue quella colossale avvenuta dalla fine del 1800 agli anni Sessanta del 1900. Pubblichiamo un intervento di Rino Giuliani, portavoce del FAIM (Forum delle associazioni italiane nel mondo), all’assemblea plenaria del CGIE (Consiglio generale degli italiani all’estero) tenuta a Roma dal 2 al 6 luglio.

CGIE, logo Faim

Logo Faim

 

Il fenomeno della nuova emigrazione è, da molti punti di vista, una questione di rilievo nazionale. Sulla entità, tipologie, dinamiche e trend di sviluppo della nuova emigrazione dall’Italia i dati sono eloquenti; il fenomeno, in forte crescita dall’inizio della crisi economica dell’ultimo decennio, ha ormai raggiunto livelli analoghi a quelli riscontrati nella seconda metà degli anni ’60. Quelli di un’emigrazione di massa.

Il fatto che l’entità complessiva della popolazione emigrata sia lievitata di circa il 60% in dieci anni, passando da 3,6 milioni ad oltre 5 milioni e che i nuovi flussi di emigrazione si situino ormai intorno alle 300mila partenze ogni anno a partire dal 2014-2015, cambia radicalmente il nostro approccio precedente molto mirato sulle comunità integrate della vecchia emigrazione.

Si è aperta una stagione nuova che spinge ad analisi e rivendicazioni, a nuova rappresentanza, nuove tutele e diritti da difendere.

Come FAIM (Forum delle Associazioni degli Italiani nel Mondo), abbiamo monitorato fin dalla sua nascita l’evoluzione della nuova emigrazione italiana, fornendo un quadro statistico comparato con le rilevazioni dei paesi di accoglienza (in particolare in Europa e Australia) che danno un risultato sensibilmente più elevato degli espatri dall’Italia rispetto a quanto si desume dai dati dell’Istat relativi alle cancellazioni di residenza.
Il rapporto tra i dati raccolti all’estero e quelli dell’Istat è mediamente di 3 ad 1, con punte di 4 a 1 ed oltre. Tali dati presentati già nell’aprile 2016 in occasione dell’assemblea di fondazione del FAIM, hanno costituito la base di riflessione e discussione per l’azione del CGIE (Consiglio Generale degli Italiani all’estero) nell’interlocuzione avviata con il MAECI (Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale) e il Ministero del Lavoro sulle misure di orientamento da approntare per i nuovi migranti e, in generale, sono stati riconosciuti da importanti istituti di ricerca e, più recentemente, da ambienti del mondo sindacale e datoriale.

Un momento dell’assemblea del CGIE

Secondo queste stime, come sopra richiamato, la nuova emigrazione italiana viaggia al ritmo di quasi 300mila persone all’anno negli ultimi due anni (2015 e 2016). Di questi nuovi migranti, circa il 30% possiede una laurea e circa il 35% un diploma di scuola superiore, mentre oltre il 15% della nuova migrazione è composta da giovani al di sotto dei 15 anni, il che mostra che ad emigrare sono ormai non solo single, ma anche intere famiglie.

Il lavoro di approfondimento svolto nel 2017 e presentato nel convegno FAIM di Palazzo Giustiniani ha consentito di scendere ancora più nel dettaglio rispetto alle modalità di insediamento dei nuovi migranti, in gran parte caratterizzate da precariato e nomadismo sia all’interno dei singoli paesi, sia tra diversi paesi, nonché dalla presenza di una consistente componente che potremmo definire “proletaria”.
In quel convegno abbiamo registrato con soddisfazione la condivisione con la direzione generale degli italiani nel mondo circa la necessità di pensare ex novo ad un sistema di orientamento alla partenza e all’arrivo per questi nostri connazionali (in riferimento alla conoscenza del mondo del lavoro dei paesi di arrivo, dei locali sistemi di welfare, della tutela e dei diritti, sia in Europa che oltre Oceano), come impegno minimo che il nostro paese deve assumersi anche per mantenere con essi un legame positivo. 
È questo un punto importante della nostra agenda di lavoro sul quale siamo in grado di dire la nostra su come attivare una rete di sostegno che parta dall’Italia e sostenga nei paesi di accoglienza i nostri emigrati e in molti casi anche le loro famiglie.
L’approntamento di un tavolo di lavoro tra CGIE, MAECI e Ministero del Lavoro sul tema dell’orientamento e dell’accompagnamento della nuova emigrazione ci interessa in modo peculiare anche come occasione di valorizzazione e di diversificazione nel ruolo delle nostre associazioni presenti all’estero, ma anche nelle regioni italiane.

Anche la possibile convenzione tra Patronati e MAECI di cui si è discusso in CGIE e il più ampio coinvolgimento dell’associazionismo di emigrazione in ogni politica attiva, rientrano in tale nuovo scenario.

Interventi all’assemblea del CGIE

Come FAIM eravamo e siamo disponibili a contribuire a tali obiettivi con l’auspicio che le istituzioni vogliano avviarli con logica strutturale. Le nostre associazioni in ordine sparso dalla Germania al Belgio all’Inghilterra hanno già sperimentato, con proprie risorse, esperienze anticipatrici, buone pratiche degne di interesse. Come FAIM abbiamo inteso porre all’attenzione del mondo istituzionale, sociale e politico, il fatto che questi consistenti flussi di nuova emigrazione comportano un impoverimento delle risorse umane del paese e delle sue competenze, alimentando spreads importanti tra Italia e paesi di accoglienza. Recentemente, Confindustria, sulla base dei dati Istat, ha stimato in un punto di Pil la perdita annuale di patrimonio umano qualificato che se ne va dal paese. Se prendiamo in considerazione la media di arrivi registrati nei principali paesi di arrivo, si tratterebbe invece di circa 3 punti di Pil all’anno. Oltre 40 miliardi di Euro. Giovani italiani, un capitale sociale sul quale hanno investito famiglie e Stato che non accresce il nostro, ma altri paesi e senza neanche i ritorni delle rimesse della vecchia emigrazione di un tempo.

Al di là della quantificazione monetaria del fenomeno, è indubbio che il nuovo esodo comporti un impoverimento importante delle opportunità di sviluppo e del futuro del paese. Comprenderne le cause, cercare di contenerlo e di orientarlo con adeguate politiche attive capaci di coniugare la libertà di circolazione con gli obiettivi del sistema paese, costituisce quindi un compito istituzionale tra i principali. Se infatti consideriamo l’impatto dei nuovi flussi emigratori in particolare nelle aree interne e del Mezzogiorno e le proiettiamo a 1 o 2 decenni, potremmo dedurne una grave accentuazione di squilibri già esistenti e il rischio di un declino di intere zone del paese che non può essere compensato (o compensato solo in parte sia sul piano demografico, che su quello del bilancio delle competenze disponibili) dai flussi di immigrazione terzomondiale o dall’Est europeo.

La specifica congiuntura economica e politica globale, caratterizzata da tendenze contraddittorie tra processi di globalizzazione e crescenti resistenze a tali processi con il ritorno ad approcci nazionali, comportano infine una nuova attenzione sui diritti e delle tutele dei cittadini migranti in generale e, tra essi, dei nuovi migranti italiani, coinvolti, anche in ambito europeo, negli effetti di queste politiche, come le espulsioni (da Belgio e Germania) o da ciò che potrebbe comportare la Brexit per coloro che risiedono in Gran Bretagna, ma anche per coloro che vivono o decidono di trasferirsi in Australia o in nord America.

I nostri governi se ne devono occupare stabilmente.

Ci aspettiamo scelte pubbliche all’altezza dei cambiamenti che auspichiamo.
Come abbiamo avuto modo di dire anche nel passato, come FAIM, i governi si valutano sempre alla prova dei fatti.