Hanno perso tutti. Le elezioni catalane si sono concluse, a ben guardare, con la sconfitta di tutti i protagonisti in campo. Mariano Rajoy, il premier che a Madrid guida un governo di minoranza, aveva voluto l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione spagnola, ordinando l’arresto di Puigdemont e dei separatisti. Convinto che il pugno di ferro contro Barcellona gli sarebbe servito per rafforzarsi sul piano nazionale, alla fine ha ottenuto il risultato opposto e adesso rischia la poltrona. Il suo Partito Popolare ha conquistato appena 3 seggi, perdendo quasi la metà dei pochi consensi messi insieme nel 2015.
Carles Puigdemont, il governatore catalano che aveva voluto la dichiarazione d’indipendenza unilaterale e poi è scappato in Belgio, ha vinto le elezioni a sorpresa. La coalizione indipendentista, formata dalla sua lista, Junts per Catalunya (JxCat), Esquerra Republicana (ERC), la sinistra indipendentista dell’ex vicepresidente Oriol Junqueras, e CUP, la sinistra radicale, ha ottenuto la maggioranza parlamentare: 70 seggi, due in più di quelli necessari per controllare il Parlamento catalano. Ma si tratta di partiti diversissimi, coalizzati solo sulla base della posizione comune a favore dell’indipendenza. Tra l’altro, gli indipendentisti non hanno ottenuto la maggioranza assoluta dei voti e si sono fermati al 47,49 per cento. Esattamente come era successo alle elezioni del 2015.
E non è finita, perché visto che adesso la lista più votata del blocco indipendentista è stata quella dell’ex presidente Carles Puigdemont, sulla carta toccherebbe a lui formare il nuovo esecutivo. Ma l’ex governatore se ne sta a Bruxelles per evitare di essere giudicato dai tribunali spagnoli per i reati di ribellione e sedizione, che prevedono fino a 30 anni di carcere. Una scelta che ha sollevato mille polemiche, soprattutto dai colleghi che si sono fatti arrestare. Il problema è che adesso non è chiaro nemmeno come potrebbe fare il presidente della Catalogna.
Sul fronte opposto, Ciutandas, il partito anti-indipendentista, ha portato a casa il 25 per cento dei voti e 37 seggi e Inés Arrimadas è stata la candidata più votata alle elezioni del 21 dicembre. Ma la sua è stata una vittoria di Pirro perché il risultato ottenuto, anche se è senza precedenti, non le basta per formare un governo.
La conclusione è quindi che alle elezioni del 21 dicembre hanno perso tutti. Dopo la grave crisi politica che ha coinvolto per settimane il governo catalano guidato da Carles Puigdemont e lo stato spagnolo, il voto indetto da Rajoy ha cambiato poco o niente. Gli indipendentisti hanno ottenuto di nuovo la maggioranza assoluta dei seggi, ma non dei voti. E, con ogni probabilità, gli elettori in primavera dovranno tornare alle urne. Intanto, la regione, che prima della crisi rappresentava un quinto del Pil spagnolo, sta pagando a caro prezzo il sogno separatista: con la fuga della maggiori banche e di centinaia di aziende, con la perdita di migliaia di posti di lavoro, a cominciare da quelli nel settore turistico investito da una crisi senza precedenti.