Alla ricerca
sotto terra
della meridiana
di Augusto

La meridiana di Augusto

La meridiana di Augusto

Una porta socchiusa può riempire il cuore di stupore e meraviglia. È quello che mi è successo passando davanti al numero 48 di via Campo Marzio e vedendo il portone appena accostato e senza il solito pesante lucchetto che lo serra. Non ero mai riuscito a varcare quella soglia anche se entrando in quel portone, scendendo sette metri sotto terra, si può vedere un pezzetto della meridiana di Augusto che completava con il mausoleo e l’Ara Pacis la sistemazione augustea di quel tratto del Campo Marzio, rendendolo luogo «santo più di ogni altro luogo», come scrisse Strabone.

Portone di accesso alla meridiana

Portone di accesso alla meridiana

Non ero mai riuscito a vedere quel che resta di una strabiliante meridiana il cui gnomone era costituito niente meno che dall’obelisco ora in piazza Montecitorio, uno dei più grandi che furono portati a Roma dall’Egitto. Era da quando stavo ultimando il mio primo romanzo sul periodo augusteo (“Livia, una biografia ritrovata”, Edizioni Pagina 2015, Pag. 184 euro 15) che avrei voluto visitare quel luogo. Mi ero interessato su come fare a varcare quel portone sempre chiuso: mi avevano spiegato che avrei dovuto presentare una domanda giustificata dal motivo alla Soprintendenza archeologia e belle arti oppure attendere di accodarmi ad una delle visite guidate che di tanto in tanto vengono fatte in quel luogo.

Ma le visite sono piuttosto rare, cose da specialisti più che da turisti, e finora le avevo scoperte solo una volta avvenute. Sulla richiesta da fare alla Soprintendenza invece aveva finora prevalso la pigrizia. Ora eccolo, quasi miracolosamente, quel portone socchiuso e che lasciava filtrare una fessura di luce.

Mi sono sbrigato a parcheggiare la moto e a tornare davanti a via Campo Marzio 48. Appena arrivato, un poco ansimante, trovo sulla porta in attesa di due archeologi, un funzionario della Soprintendenza. Ho subito cercato di impietosirlo dicendo che da anni aspettavo di potere entrare a vedere. Pronta la risposta: «Allora è fortunato perché proprio sabato prossimo c’è una visita guidata, si accodi». La maledizione della meridiana sembrava colpire ancora: proprio il sabato seguente avrei dovuto essere fuori Roma per un appuntamento indifferibile.

Ripresi nel mio tentativo: «Ma è vero che una missione tedesca già dalla scorsa estate è impegnata a riprendere gli scavi alla ricerca di altre tracce della meridiana?», puntavo a stupire con effetti speciali. «Sì è vero, li farà l’estate prossima. Non sapevo che attendessero già dalla scorsa estate», mi ha risposto. «Chissà se gli scavi li faranno anche in piazza San Lorenzo in Lucina”, aggiungo. Insisto:  «Allora niente? Nemmeno un’occhiata?».

Il portone si spalanca e lui dice: «Però veloce, mi raccomando». Dietro il portone c’è un corridoio che porta in un piccolo cortile e sulla destra una porticina con dietro delle ripide scale. Ecco il punto nel quale nel 1979 un archeologo tedesco di nome Buchner, in collaborazione con l’Istituto Germanico di Roma ed un altro studioso tedesco, il professor Friedrich Rakob, scavò a botta sicura cercando la meridiana nel luogo che avrebbe dovuto indicare l’inizio del segno della Vergine e dell’Ariete (l’ombra incide sullo stesso punto due volte l’anno, una in fase crescente ed una decrescente).

C’è da dire che tutte le ricerche nella zona di un vasto lastricato con le indicazioni di un orologio si erano risolte fino ad allora in un fiasco. Ma la meridiana non poteva essere che lì anche perché conosciamo con esattezza dove era l’obelisco, crollato probabilmente agli inizi del secondo millennio e riscoperto a terra spezzato in quattro parti nel 1478, ma rimosso e rialzato solo alla fine del Settecento per essere ricollocato davanti al palazzo di Montecitorio. Sulla porta di un altro palazzo appena girato l’angolo, questa volta al numero 3 di piazza del Parlamento, una lapide ricorda il rinvenimento dell’obelisco e il suo spostamento. Collocazione certa e identificata, quindi. Il resto ce lo racconta con esattezza Plinio, con le indicazioni di segni zodiacali e dei venti. Così ecco che, una quarantina di anni fa gli scavi trovano, sette metri sotto il livello attuale della strada, il pezzo di meridiana.

La meridiana di Augusto

La meridiana di Augusto

Scendo i gradini, poi una scala di ferro. Eccola, la meridiana, esattamente come ce la descrive Plinio. Una scritta in greco, lingua usata nel periodo su temi scientifici e filosofici, ἐτησίαι παύονται, ci dice che quando l’ombra sulla meridiana all’ora sesta segna quel punto è il momento dell’anno in cui cessano i venti Etesii e le lettere parallele alla meridiana ci dicono invece che siamo nel periodo o del segno zodiacale della Vergine o di quello dell’Ariete, come Buchner aveva previsto.

Le lastre in marmo della meridiana le trovo coperte da una ventina di centimetri di acqua limpida. Le infiltrazioni sono ancora copiose, ma più che essere legate al Tevere sembrano piuttosto dovute alla falda acquifera ancora presente in zona.

È sempre Plinio a dirci che la meridiana era stata fatta da Facondo Nodio, un matematico e astrologo egizio esperto. Ma l’esperienza di Facondo è andata ben presto a farsi benedire perché quella zona del Campo Marzio era soggetta alle alluvioni del Tevere e il livello del terreno si alzava continuamente mentre le costruzioni tendevano a sprofondare. Così lo stesso Plinio ci dice che una trentina d’anni dopo la sua costruzione la meridiana già non era più precisa. Quel che è certo è che un secolo dopo la sua costruzione (l’inaugurazione dell’orologio è del 10 avanti Cristo), Domiziano fa alzare le lastre di marmo con le scritte della meridiana di quattro piedi, circa un metro e 20, dove si trovano ora, per adeguarle al nuovo livello del terreno: addio esattezza dei calcoli di Facondo Novio.

Ma l’orologio potrebbe nascondere un altro segreto. Sappiamo che la sua ombra a mezzogiorno si prolungava verso l’ingresso del Mausoleo di Augusto, mentre la sera del solstizio di autunno, il 23 settembre giorno natale di Augusto, la sua ombra indicava l’Ara Pacis, monumento magico del secolo di prosperità e pace sulla terra portate da Augusto. Resta da chiedersi se all’alba del 21 aprile, giorno natale di Roma, l’ombra non indicasse qualcos’altro, un altro simbolo del principato di Augusto rimasto a noi ignoto. Per poter rispondere bisognerebbe che si aprisse magicamente qualche altro portone e cadessero altri lucchetti.