Il giorno della civetta: un romanzo, «fulgido esempio di Sicilia come metafora, ma senza fronzoli o retorica, un’opera asciutta», scrive Maria Luisa Agnese su Sette, il settimanale del Corriere della Sera; e ancora: Sciascia partendo dalla mafia, illumina i mali contemporanei, con qualche intuizione sulle vicende umane.
![Agnese, Leonardo Sciascia con Paolo Borsellino](https://www.sfogliaroma.it/wp-content/uploads/2019/11/Paolo_Borsellino_e_Leonardo_Sciascia-300x224.jpg)
Leonardo Sciascia con Paolo Borsellino
No. Sciascia parte dalla mafia, e lì resta; ce la racconta, ce la spiega negli stessi anni in cui tanti si affannano a negarne l’esistenza; e non solo illumina una realtà negata; indica come la si può sconfiggere: suggerisce di seguire il denaro, e la traccia che resta; e raccomanda di restare sempre nel solco del diritto, della legge; di non illudersi che la si possa sconfiggere con la “terribilità” dell’arbitrio; di non vagheggiare un ritorno ai metodi del prefetto fascista Cesare Mori: che sopra e al di là della legge riesce a stroncare il brigantaggio; ma quando si rivolge alla Cosa Nostra viene prontamente promosso e rimosso: lo nominano senatore del Regno; che la Cosa Nostra si è insinuata nel regime fascista, nel potere; e il regime con eleganza lo toglie dai piedi.
Agnese quella pagina delle ispezioni bancarie e dell’andare ad annusare a certi personaggi e al loro livello di vita, per «trarne il giusto senso», evidentemente non l’ha letta. È quella la pagina chiave dell’intero romanzo. Banalmente si sofferma sul “colore”: la pagina successiva, dove il capo mafia elenca le cinque categorie in cui lui ha suddiviso l’umanità. Le sfugge anche il dialogo tra il capitano Bellodi e il mafioso, e i due parlano della figlia di quest’ultimo, che studia in un costoso collegio svizzero. Tornerà, vaticina Bellodi, dopo aver ben studiato, e proverà ripugnanza per quello che fa e ha fatto il padre. «Lasci stare mia figlia», inveisce il capo mafia che fiuta il pericolo. In molte occasioni Sciascia consigliava di fare una marcia anti-mafia in meno, e piuttosto leggere un libro in più. La stessa cosa che consiglia Gesualdo Bufalino: «Più maestri di scuola» sono per lui un buon antidoto antimafia.
![Agnese, Claudio Martelli](https://www.sfogliaroma.it/wp-content/uploads/2019/11/Martelli-con-cravatta-1-300x250.jpg)
Claudio Martelli
La cultura, insomma; quell’ “italiano” che non è solo l’italiano, è il ragionare, come si legge nell’esemplare pagina di Una storia semplice: l’anziano professore viene interrogato dall’ex allievo, somaro in italiano, e diventato magistrato. L’italiano non è l’italiano ma il ragionare sbotta il professore: fosse stato ancor più somaro, in magistratura di carriera l’ex allievo ne avrebbe fatta di più. Vale non solo per i magistrati.
A conclusione del suo articolo, Agnese scrive che Sciascia «si lanciò nell’estremo azzardo, quello di dubitare del pentitismo e della beatificazione degli eroi antimafia, e in un articolo sul Corriere del 10 gennaio 1987, a poco meno di tre anni dalla morte avvenuta il 20 novembre 1989, si fece eretico di sé stesso, e picconò la sua stessa fede avanzando dubbi sul comportamento di alcuni magistrati e politici siciliani che a suo parere si erano macchiati di carrierismo: citava il giudice Paolo Borsellino, col quale poi peraltro chiarì prima che fosse assassinato».
Dunque: “Estremo azzardo”, che sarebbe dubitare del pentitismo. Se nutrire dubbi, e perfino ripulsa nei confronti di “pentiti” come Pasquale Barra detto ‘o animale’, Giovanni Pandico, Gianni Melluso, e di come sono stati gestiti, con una leggerezza che ha prodotto, per esempio con il maxi blitz napoletano dove si volle coinvolgere Enzo Tortora, sì, lo si ammette: si gioca d’azzardo. E si è recidivi, perché, per restare in Sicilia, e per citare uno solo tra i tanti esempi si nutre qualcosa di ben più del dubbio circa la gestione di Vincenzo Scarantino per quello che riguarda la strage a via D’Amelio. Si è colpevoli di “estremo azzardo” perché si dubita di Balduccio Di Maggio, e degli ultimi “pentimenti” secondo i quali l’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli sarebbe nientemeno che il mandante della strage a Capaci. Si dubita, sì.
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Giovanni Falcone
L’altro “estremo azzardo” di cui Sciascia si sarebbe macchiato, è l’aver dubitato della “beatificazione degli eroi antimafia”. Qui, si cade nel surreale. Sciascia nel citato articolo contesta il comportamento del Consiglio Superiore della Magistratura: che per l’assegnazione dei posti direttivi ha una regola, che platealmente disattende. Per Borsellino adotta un criterio, per Falcone l’esatto opposto. Questo osserva Sciascia, questo rimprovera. E per quel che riguarda i politici: si riferisce al sindaco di Palermo Leoluca Orlando (per inciso: lo stesso che con Alfredo Galasso e Carmine Mancuso denuncia al CSM Falcone accusandolo di tenere chiuse nel suo cassetto le verità sui delitti eccellenti che hanno insanguinato Palermo); osserva che un amministratore dovrebbe occuparsi di risolvere annosi problemi come quelli del traffico e dell’immondizia che sommerge la città; e che con la patente di antimafioso che si procura, chiunque, dell’opposizione ne contesti e metta in discussione l’operato di amministratore, rischia per questo di essere accusato amico, se non complice, della mafia.
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Leoluca Orlando
Metteva in guardia, Sciascia, con molto anticipo, di quello che sarebbe potuto accadere facendo leva sulla retorica e “spirito critico mancando”. Aveva torto? Basta sfogliare le pagine de I tragediatori, il documentato libro scritto da Francesco Forgione, ex presidente della commissione parlamentare Antimafia, con prefazione di Giuseppe Di Lello, magistrato del pool antimafia con Falcone e Borsellino; consigliabile anche la lettura de Il sistema Montante, scritto dall’ex sindaco di Racalmuto Salvatore Petrotto.
È un pensiero pessimo, lo si cancella subito, ma intanto è venuto. Agnese l’italiano lo conosce; i suoi componimenti meritano un buon voto. Forse, chissà, per una volta Sciascia si è sbagliato: anche chi l’italiano lo conosce può essere simile al magistrato di Una storia semplice.