Armi, potere, guerre
e capitani di ventura

Armi e potere, Braccio da Montone

Braccio da Montone

Armature, spade, alabarde, balestre, pistole del 1500, elmetti, schiniere. Armi e Potere nell’Europa del Rinascimento è la mostra organizzata a Roma fino all’11 novembre sia a Castel Sant’Angelo e sia a Palazzo Venezia. In tutto si tratta di 160 pezzi, molti di grande valore artigianale ed artistico. Non mancano quadri di condottieri e di battaglie. La rassegna, ideata e prodotta dal Polo Museale del Lazio diretto da Edith Gabrielli, in collaborazione con il Polo Museale dell’Emilia Romagna, è curata da Mario Scalini.

Le battaglie e le guerre nel Basso Medioevo in Italia e in Europa furono frequenti e guidate dai capitani di ventura. Furono combattute nel Medioevo e, anche se in maniera ridotta, pure nel Rinascimento perché i capitani di ventura furono messi nell’angolo dall’emergere degli eserciti degli Stati nazionali europei e dall’avvento delle armi da fuoco. 

Furono un importante tassello del potere militare e politico europeo. Comandarono fino a 10 mila uomini. Alcuni condottieri vittoriosi riuscirono addirittura a conquistare per sé o per i propri discendenti degli Stati in Italia: per Lodrisio Visconti ed Ambrogio Visconti ci fu il ducato di Milano poi passato a Micheletto Attendolo Sforza e Francesco Sforza.

Giovanni dalle Bande Nere

Alessandro Sforza, invece, divenne signore di Pesaro. Braccio da Montone conquistò il governo di Perugia, Niccolò Piccinino di Bologna. Andrea Fortebraccio, detto Braccio da Montone, fu signore di Perugia (la sua città natale), principe di Capua, conte di Foggia, governatore di Bologna, L’Aquila, Spoleto, Orvieto, Narni, Orte, Teramo.

Sigismondo Malatesta s’impossessò di Rimini e Fano. Castruccio Castracani divenne duca di Lucca. Francesco Bussone, detto il Carmagnola, era di origini contadine ma divenne conte di Castelnuovo Scrivia e di Chiari.

Altri valorosi condottieri, pur non riuscendo ad ottenere il governo di uno Stato, esercitarono una forte influenza politica: è il caso di Giovanni Acuto nella Repubblica di Firenze, tanto che fu onorato dopo la sua morte di un affresco di Paolo Uccello nella chiesa di  Santa Maria del Fiore.

Pisanello: medaglia di Niccolò Piccinino

Giovanni Maria de’ Medici, detto Giovanni dalla Bande Nere, fu uno dei pochi capitani di ventura a riuscire a passare indenne dal Medioevo al Rinascimento. Fu un idolo delle sue disciplinate truppe mercenarie: sommò uno straordinario coraggio a una grande forza fisica e a una nuova strategia militare. Eliminò la cavalleria pesante superata dall’arrivo dalle armi da fuoco e si servì della cavalleria leggera, utilizzando in genere i veloci e resistenti cavalli berberi, come strumento agile di guerriglia. Combatté al servizio dello Stato pontificio guidato da due papi

Medici, prima contro la Francia e poi contro l’Impero asburgico, raccogliendo clamorose vittorie. Fu ferito mortalmente da un colpo di un Falconetto, un piccolo pezzo d’artiglieria dell’epoca, ad una gamba. Gli fu amputata ma non riuscì a sopravvivere, morì per la cancrena e fu sepolto con tutta l’armatura. Lui fu il carismatico capo dei suoi invincibili mercenari, il figlio Cosimo divenne granduca di Firenze.

In genere i capitani di ventura fecero fortuna nel nord e nel centro Italia. Ma i normanni, emigrati dalla Scandinavia, monopolizzarono il Sud con i loro mercenari.  Tancredi d’Altavilla fu il capostipite di una fortunata dinastia: prima conti di Puglia, poi di Calabria e di Sicilia. Infine re di Sicilia, un regno che si estendeva dalla Trinacria a tutta l’Italia meridionale.