La vicenda rifiuti non è solo legata all’emergenza, ma va di pari passo con una situazione economica che come quella dell’Atac è da anni ai limiti del collasso, se non vogliamo arrivare a dire che Ama è tecnicamente fallita. Un dato per tutti: il cosiddetto indice di indipendenza finanziaria che misura la capacità di un’azienda di sostenersi da sé. Bene: nel caso dell’Ama è stato calcolato che siamo nell’ordine dello 0,2 per cento.
Che vuol dire? Che non ha di fatto mezzi propri. Si finanzia solo ricorrendo all’esterno. Praticamente attraverso i continui interventi dello Stato per ripianare i debiti. Tanto per essere chiari, dal 2007 ad oggi si viaggia con debiti che ogni anno ammontano in media a 300 milioni. Si dirà: ma l’Ama può, anzi meglio, dovrebbe contare sulle entrate derivanti dal pagamento della tassa sui rifiuti.
Dovrebbe essere così, anche perché le cifre più attendibili dicono che dal 2005 al 2015 sono aumentate del 61 per cento per gli utenti domestici e addirittura dell’80 per quelli non domestici. Tutto questo a fronte di un’inflazione che, negli stessi dieci anni, è stata complessivamente appena del 21,9 per cento. Insomma una differenza, rispettivamente, del 40 e del 60 per cento. E già questo dovrebbe far arrabbiare i cittadini.
Bene, è nulla se consideriamo che nonostante ciò il debito è continuato ad aumentare in maniera esponenziale per arrivare, nel 2015, ad un miliardo e 700 milioni. E allora che cosa c’è che non va nella tassa sui rifiuti? Che viene pagata da un numero assolutamente insufficiente di cittadini. Un’evasione dal tributo che costringe l’azienda a rivedere continuamente la voce crediti. In altre parole ogni anno si assiste a quella che va sotto il nome di rettifica crediti, che è esattamente la stessa cosa delle sofferenze bancarie.
La tassa si paga poco e dunque da una parte i bilanci consuntivi finiscono per essere molto più pesanti di quello che si pensava, dall’altra bisogna chiedere di continuo l’aiuto allo Stato. Il Salva Roma è solo l’ultimo esempio.
Ma l’Ama è anche e soprattutto un pozzo senza fondo per pagare il personale: 7800 persone. Non si tratta di demonizzare nessuno, ma è certo che oggi come oggi costa troppo a fronte della produttività che offre. La conclusione è che si tratta di un’azienda che ad esempio ha un debito, solo con le banche, di 500 milioni di euro che si fanno pagare un tasso di interesse non inferiore al 7 per cento quando i tassi sui mutui, tanto per fare l’esempio più macroscopico, viaggiano sia che siano a tasso variabile che a tasso fisso nell’ordine del 2 per cento.