
Raffinerie dell’Arabia Saudita in fiamme nel 2019 dopo gli attacchi degli Outhi
Il petrolio cala, è sempre più a buon mercato. Negli ultimi mesi le aziende e gli automobilisti sorridono: il prezzo del petrolio non sale ma scende. L’Opec+ (l’organizzazione dei paesi esportatori di greggio) dall’inizio del 2025 aumenta la produzione e i prezzi, al contrario del passato, diminuiscono nonostante la guerra in Ucraina e in Medio Oriente. Anche ai primi di agosto agosto l’Opec+ (comprende la Russia) fa crescere le vendite e per settembre stabilisce un ulteriore espansione delle estrazioni di oro nero.
Donald Trump può essere soddisfatto. Ha come obiettivo strategico il petrolio facile per rendere felici gli automobilisti e le imprese americane. Ha il problema di rilanciare l’economia che inizia a zoppicare. Ma non solo. Il presidente degli Stati Uniti vuole ridurre le risorse finanziarie con le quali Vladimir Putin finanzia la guerra contro l’Ucraina. L’obiettivo sembra centrato: il prezzo internazionale del petrolio cala intorno a 65 dollari a barile. Gli spiragli di pace in Ucraina aperti dal vertice Trump-Putin in Alaska consolidano la tendenza al ribasso del greggio.
C’è chi temeva un boom dell’oro nero a 100, 150 dollari a barile quando a giugno scoppiava la guerra tra Israele e l’Iran, quando gli Stati Uniti addirittura bombardavano i siti nucleari della Repubblica islamica. Il petrolio s’impennava a 80 dollari a barile ma subito dopo ridiscendeva. Era un chiaro segno che qualcuno inondava di greggio il mercato internazionale come avviene anche adesso. Dietro l’operazione per calmierare il mercato e impedire speculazioni qualcuno intravede la mano dell’Arabia Saudita, il maggior esportatore di petrolio nel mondo.

Donald Trump e Mohammed bin Salman
Trump ha un ottimo rapporto personale con Mohammed bin Salman, il principe ereditario e primo ministro dell’Arabia Saudita. A maggio vola a Riad: sorrisi, strette di mano, accordi. Garantisce armi e alta tecnologia a stelle e strisce, riceve assicurazioni di mega acquisti e investimenti negli Usa. Affari per centinaia di miliardi di dollari restaurano l’alleanza strategica tra Usa e Regno Saudita dopo i contrasti degli ultimi anni che avevano lasciato spazi a delle incursioni della Russia. Il presidente americano incontra Mohammed bin Salman e non risparmia complimenti: «Mi piaci troppo». Il petrolio cala, è assicurato il greggio a buon mercato. A giugno, quando infuria la pericolosissima guerra tra Israele e Iran, il greggio non sale alle stelle.
L’Arabia Saudita forse non ha dimenticato il 2019, un anno terribile. Sei anni fa gli Outhi, alleati yemeniti dell’Iran, bombardarono a più riprese le raffinerie e i giacimenti petroliferi di Riad. La produzione di greggio fu dimezzata per un periodo. Quei giorni segnarono il punto più alto dell’ostilità tra il Regno saudita, campione dell’Islam sunnita, e Teheran, la Repubblica Islamica sciita. Due Stati in lotta per la supremazia politica e religiosa sul Medio Oriente.
L’autoritarismo e le mosse spregiudicate di Mohammed bin Salman verso gli oppositori avevano spinto Joe Biden a raffreddare i rapporti con Riad, ma il ritorno di Trump alla Casa Bianca ha fatto tornare la piena sintonia tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita. Trump gioca la carta degli Usa prima super potenza del mondo, bin Salman quella del petrolio e delle enormi disponibilità finanziarie investite per una rapida modernizzazione del paese.
