Stop ai Patriot. Alt da Trump a gran parte della difesa aerea e alle armi all’Ucraina. Il presidente degli Stati Uniti ondeggia: sì, no, forse.

Volodymyr Zelensky e Donald Trump
La Casa Bianca prima conferma le indiscrezioni sulla sospensione di armi a Kiev. «Questa decisione è stata presa per mettere al primo posto gli interessi degli Stati Uniti», dichiara la vice addetta stampa Anna Kell. Tutto è confermato: molte armi ordinate da Joe Biden per combattere l’aggressione di Vladimir Putin ora sono ferme in Polonia. Niente più Patriot e Sting per intercettare ed abbattere i missili e i droni russi che piovono a valanga anche sulle case, gli ospedali e le scuole ucraine. Stop pure ad altri tipi di armi.
Lo stop ai Patriot non è proprio una sorpresa. Donald Trump aveva ventilato la sospensione al vertice della Nato all’Aja: «Vediamo se riusciamo a dare dei Patriot all’Ucraina, sono molto difficili da ottenere». Il governo ucraino definisce il taglio «disumano». Le forniture belliche europee a Kiev hanno un peso qualitativo e quantitativo notevolmente inferiore a quelle statunitensi. Sono insufficienti per contrastare gli attacchi di Mosca. Volodymyr Zelensky non si rassegna allo stop ai Patriot: rilancia la proposta di acquistare i sistemi di difesa anti aerea, intensifica la produzione bellica nazionale e progetta di delocalizzarla anche all’estero, come in Danimarca.

Vladimir Putin e Donald Trump
Il Cremlino vede la vittoria a portata di mano dopo tre anni di guerra feroce. Dmytrij Peskov, portavoce di Vladimir Putin, fa una precisa equazione: «Meno armi vengono fornite all’Ucraina, più vicina è la fine della guerra».
Certo non si vede spesso un alleato (Trump) che abbandona l’altro (Zelensky accusato perfino di aver causato il conflitto) per aiutare di fatto il nemico (Putin) con il quale vanta un ottimo rapporto sia pure con parecchie delusioni. Il presidente populista degli Stati Uniti è imprevedibile, lui stesso si definisce così. Già qualche mese fa aveva sospeso gran parte delle forniture di armi targate Usa a Zelensky, del supporto logistico e di intelligence con grandi vantaggi per Mosca sul campo di battaglia. Poi ripristinò gli aiuti all’alleato in cambio di un accordo sullo sfruttamento in comune delle terre rare ucraine (essenziali per l’industria digitale, informatica, energetica, militare e dell’auto degli Usa).
Ora ci risiamo. C’è un nuovo stop, potrebbe essere definitivo o temporaneo, non si sa. Un’altra telefonata ai primi di luglio tra il presidente americano e quello russo non risolve nulla. Anzi, complica tutto. Non c’è alcun cessate il fuoco da parte del Cremlino che scatena invece un nubifragio di circa 550 missili e droni in una sola notte sull’Ucraina.

Un bombardamento russo
Putin conferma: la Russia andrà avanti nei «suoi obiettivi, ossia l’eliminazione delle ben note cause profonde» della guerra. Traduzione: il presidente russo punta sulla soluzione militare e non quella diplomatica, vuole l’annessione del 20% dell’Ucraina e l’egemonia politica sul futuro governo di Kiev. Ancora una volta c’è il niet russo alla tregua di Trump mentre dice sì Kiev. Il presidente Usa non nasconde la delusione: «Ho detto a Putin che non sono contento. Non ho fatto alcun progresso». Poi aggiunge: le forniture di armi non sono state interrotte, «ma ne abbiamo inviate troppe e dobbiamo essere sicuri di averne abbastanza per noi». Una precisazione che non chiarisce se lo stop ai Patriot resta o se è annullato.. Invece Zelensky, dopo una telefonata con Trump, è fiducioso: c’è un accordo di «lavorare insieme per rafforzare la protezione dei nostri cieli».
Le continue oscillazioni non fanno bene alla credibilità di Trump, emerge l’inaffidabilità del presidente statunitense al rispetto dei patti. Come faranno gli alleati occidentali a fidarsi in futuro degli impegni di Washington per la difesa comune? Già appaiono delle crepe. Nel vertice tra i 32 paesi Nato dell’Aja spunta un accordo per un aumento fino al 5% del Pil delle spese militari e delle infrastrutture della difesa. Trump parla di una sua «vittoria monumentale» ma Pedro Sanchez, il premier spagnolo, boccia l’intesa.
Trump sembra avere un doppio standard. Assicura di non voler guerre, di essere un pacificatore ma appoggia senza riserve il bellicismo di Benjamin Netanyahu in Medio Oriente fino a bombardare i siti nucleari dell’Iran in sostegno del premier israeliano. E le forniture di armi statunitensi adesso sembrano premiare soprattutto Gerusalemme.