Politica, d’immagine
si muore

Donald Trump è tornato alla Casa Bianca solo a gennaio di quest’anno. E se è vero che meno di cinque mesi rappresentano un periodo troppo breve per poter prevedere il futuro del più potente leader populista del pianeta, è altrettanto vero che gli ultimi sondaggi sono pessimi.

Sovraesposizione mediatica, Donald Trump

Donald Trump

Negli Stati Uniti, il tasso di approvazione pubblica di Trump oggi è al livello più basso dal suo ritorno al governo del Paese. Una rilevazione Reuters/Ipsos mostra che solo il 42 per cento degli intervistati approva il suo operato. Nella storia recente a stelle e strisce non si ricorda un presidente che, a così breve distanza dall’insediamento, avesse un tasso di disapprovazione tanto alto.
Il caso del tycoon dimostra quindi che una gestione personale del potere e una politica fatta di slogan, annunci, promesse e sparate propagandistiche, non paga. Perché la sovraesposizione mediatica fa presto a trasformarsi in boomerang e un politico può anche morire d’immagine. Come è ormai ampiamente dimostrato dalle parabole di tanti leader populisti che hanno sostituito i capi dei vecchi partiti in numerosi Paesi dell’Occidente democratico.
Per tornare a Trump, va rilevato che la fiducia nei suoi confronti, sia negli Stati Uniti che a livello globale, sta precipitando a causa di una serie di decisioni controverse e di una comunicazione spesso contraddittoria. Tanto per fare qualche esempio: aveva promesso di mantenere l’ordine pubblico con misure severe, ma poi l’invio di truppe federali per sedare le proteste in California ha sollevato accuse di autoritarismo e di violazioni costituzionali.

Donald Trump mostra la tabella dei dazi

E ancora: in campagna elettorale, Trump aveva promesso di risolvere il conflitto tra Russia e Ucraina «in 24 ore» e di mediare per «la fine della guerra tra Israele e Hamas». Aveva detto e ripetuto di voler portare pace e unità nel Medio Oriente. Ma poi è stato clamorosamente smentito dai fatti. Intanto a livello internazionale, la sua gestione del debito pubblico e le tensioni geopolitiche stanno generando incertezza nei mercati finanziari, con il rischio di una diminuzione della fiducia nelle obbligazioni statunitensi. Complessivamente, queste dinamiche potrebbero compromettere la stabilità economica e politica degli Stati Uniti, influenzando la loro posizione nel mondo e determinando la fine politica di Trump.
Il problema è quindi l’avvento della postpolitica, di cui oggi il presidente Usa è il capofila.

In un contesto planetario in cui i partiti novecenteschi sono costretti a fare ogni giorno i conti con i movimenti populisti. In gran parte dell’Occidente democratico si vedono così troppi vecchi leader bocciati nelle urne e subito costretti a lasciare il passo a capipopolo. Quasi sempre personaggi sorti dal nulla alla guida di movimenti personali e circondati di pretoriani. D’altra parte i nuovi leader non hanno bisogno di un gruppo dirigente.

Matteo Salvini

Perché si appellano direttamente al “popolo” attraverso Internet, e – una volta al governo – vivono il Parlamento come un impaccio. Lo scontro tra leadership e rappresentanti eletti in Parlamento sta mandando in crisi la democrazia parlamentare. Come dimostrano chiaramente proprio gli Stati Uniti guidati da Trump.
Ma il caso forse più eclatante di crollo d’un leader populista arrivato – esattamente come Trump – alla guida di un antico partito è quello del premier conservatore inglese Boris Johnson. Che, dopo aver imposto il divorzio del suo Paese da Bruxelles, è stato travolto dal fallimento della Brexit pagando con le dimissioni la fine dell’euroscetticismo cavalcato con tanta spregiudicatezza.
E l’Italia? Da noi il caso più evidente di fallimento populista è quello di Matteo Salvini, tuttora in sella al vertice della Lega, ma in forte crisi di consensi. Dopo essersi affidato a una sovraesposizione mediatica che alle elezioni europee del 2019 gli ha permesso di far balzare la Lega al 34,3 per cento dei voti, Salvini ha cominciato ad andar giù in picchiata. Alle europee del 2024 ha perduto sei milioni e mezzo di voti chiudendo con una percentuale dell’8,97 per cento. Adesso, secondo gli ultimi sondaggi è sotto l’8,5 per cento. A conferma del fatto che in politica puntare tutto sui media e su una comunicazione a base di slogan, annunci roboanti e promesse irrealizzabili alla lunga può trasformarsi in un suicidio.