Domenica scorsa sono stato invitato a Padova ad un incontro fra alcune associazioni e partiti politici per uno scambio di opinioni sul riarmo dell’Europa. Un bel pomeriggio già caldo in un parco pubblico di Padova, spesso utilizzato dalla comunità locale per incontri e dibattiti.

Cimitero militare americano a Nettuno
Il tema è molto caldo: ho chiesto di parlare per ultimo perché come è puntualmente avvenuto, i principali relatori hanno parlato dei temi sul tappeto: la necessità di creare un esercito europeo, con le stesse divise, unificando carri armati e altre armi, ma sempre sottolineando che la guerra non deve essere mai la prima scelta, ma occorra sempre perseguire il dialogo e le soluzioni diplomatiche. Tutte osservazioni giuste, quelle di esperti e politici, che però, secondo me, non vanno mai ai veri problemi che dovrebbero sottendere ogni scelta politica.
Per questo non partecipo più a dibattiti geopolitici, mi limito a raccontare storie perché tutti possano trarne le loro impressioni. Storie semplicissime che riguardano la vita e i comportamenti umani, che secondo me sono immortali.
Quando ero ragazzo, quindici o sedici anni, trascorrendo le vacanze sul mare di Anzio, facevo lunghe passeggiate in bicicletta. Mi fermavo sempre nella vicina cittadina di Nettuno per guardare l’immenso cimitero militare americano, che osservavo dal cancello che rimaneva chiuso.

Leonida alle Termopili di Jacques-Louis David 1814
Quell’immensa moltitudine di croci bianche, tutte uguali, mi stupiva e mi affascinava. Un pomeriggio mi si avvicina una coppia americana della quale non posso dimenticare i nomi. Jennifer e Mark avevano più o meno settant’anni, e il guardiano del cimitero stava aprendo loro il cancello perché potessero andare a trovare, fra quelle croci, il figlio Peter morto durante la battaglia dello sbarco di Anzio. Non so perché, vedendomi, mi chiesero di accompagnarli. Dopo essersi fermati per un poco di fronte a quella croce, uscimmo insieme da quel grande cimitero, e Mark mi disse: «Young man, spero che i tuoi genitori non debbano mai venire a visitare dinnanzi a una croce il loro figlio che è morto per aver fatto il suo dovere». Già, il suo dovere. Niente lacrime o rabbia, ma forse addirittura orgoglio per il loro ragazzo.
I partecipanti mi guardano incuriositi. Non mi considerate un vecchio trombone ma adesso voglio portarvi indietro di più di duemila anni, per raccontarvi la storia di Leonida. Scusate ma ‘L’ultima notte di Leonida’ non è qualcosa che ho scritto io ma il racconto di un grande scrittore francese del quale, causa la mia età, ho dimenticato il nome.

Oplita morente dal frontone del tempio di Afaia ad Egita – Atlante Storico Istituto Geografico De Agostini Novara
Questo racconto è stupendo, forse inventato dallo scrittore, ma certamente molto realistico e forse anche molto attuale.
La sera prima della battaglia delle Termopili (480 a.C.) Leonida andò a dormire con accanto la sua compagna. Lei era stesa vicino a lui, dietro la sua schiena e Leonida non voleva guardarla in viso, perché non voleva vedere una donna diversa da quelle formidabili spartane, che chiedevano ai loro uomini di tornare dalla guerra con lo scudo, o sullo scudo, cioè o morti o vincitori. Si ricordava di tutte le guerre e i conflitti tra Atene e Sparta e le altre città greche che si erano sempre combattute fra loro. Perché aiutare gli ateniesi contro Serse, l’invasore persiano? Gli ateniesi, superficiali ed edonisti che chiacchieravano di filosofia, di letteratura e di altre cose inutili. E si beavano di donne e uomini scolpiti nella pietra che consideravano bellissimi, anche se non erano fatti di carne e sangue. Perché aiutarli, perché sacrificare la vita per loro, eterni nemici?
Poi Leonida non resistette al calore del corpo di lei e si girò.

La Grecia ai tempi delle guerre persiane (490-479 avanti Cristo) – Atlante Storico Istituto Geografico De Agostini Novara
I grandi occhi della sua compagna erano soltanto quelli di una donna innamorata e terrorizzata di perdere il suo uomo. Allora a quel grande guerriero venne in mente un’altra cosa. Avrebbe permesso che la sua amata moglie divenisse la schiava di un soldato persiano, e che la vita dei suoi figli si trasformasse in quella di servi dell’invasore?
Leonida si dimenticò degli ateniesi e pensò soltanto alla libertà, quella libertà che deve essere difesa a costo della vita, perché è il bene più essenziale per ogni essere umano. Morirono tutti, i 300 spartani nella battaglia delle Termopili, ma forse Leonida poté dormire quella notte, perché la difesa della libertà veniva prima di tutto per uno spartano, per un greco di più di duemila anni fa.
Gli ascoltatori, tutti molto più giovani di me, si trovavano finalmente di fronte al vero e più tremendo dilemma: la libertà vale la vita?
Io ho solo concluso che la politica non può dare risposte se non si basa su grandi principi e valori condivisi. Tutto il resto viene dopo, ma dovrebbe discendere dalle cose più importanti nelle quali dovremmo credere.