
Donald Trump, Mohammad bin Salman e Ahmad al-Sharaa
Arabia Saudita, Siria, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Iran, Yemen, Palestina, Israele. Il Medio Oriente, al contrario dell’Ucraina, porta fortuna a Donald Trump. Il presidente degli Stati Uniti, nella sua prima missione all’estero dopo la rielezione alla Casa Bianca, sbanca nel mondo arabo.
Niente insulti (anche volgari), come quelli lanciati ai paesi alleati dell’Occidente, ma adulazioni. Trump incontra Mohammad bin Salman a Riad. Non lesina i superlativi e le adulazioni verso il principe ereditario dell’Arabia Saudita: «…nessuno è più forte di lui, mi piace molto. Tu mi piaci troppo davvero». Porta a casa accordi economici stratosferici con il più grande esportatore di petrolio al mondo. Annuncia vendite di armi, aerei, intelligenza artificiale, attrezzature elettroniche, servizi digitali per migliaia di miliardi di dollari. Parla d’ intese d’investimenti per centinaia di miliardi di dollari negli Stati Uniti da parte di Riad.

Donald Trump e bin Salman a Riad
È ripristinata l’alleanza strategica, politica e militare con la monarchia saudita, messa in discussione negli ultimi anni con l’apertura di rischiosi varchi verso i quali si era lanciato Vladimir Putin. Analoghi risultati Trump spunta con il Qatar e gli Emirati, altri due paesi grandi esportatori di petrolio e di gas. Vellica l’orgoglio arabo: vuole ribattezzare il Golfo Persico in Golfo d’Arabia.
Sforna elogi dello stesso tenore verso il presidente siriano Ahmad al-Sharaa; «…un uomo alto e affascinante, un duro con un forte passato, un combattente e un vero leader». Cancella le sanzioni americane alla Siria considerata in passato uno Stato terrorista. Cambia idea anche su Ahmad al-Sharaa giudicato un terrorista fino a poco tempo fa, con una taglia di 10 milioni di dollari sulla testa.

Ahmad al-Sharaa e Donald Trump si stringono la mano
Ahmad al-Sharaa ringrazia il presidente degli Stati Uniti, sollecita investimenti americani per rimettere in piedi la Siria e, in particolare, gli impianti petroliferi e del gas devastati da dieci anni di guerra civile. Accoglie l’invito a mettere alla porta i terroristi islamici in Siria. Sottolinea «i comuni interessi con gli Usa» a combattere il terrorismo. Trump è grato ad Ahmad al-Sharaa: è l’uomo che pochi mesi fa ha sconfitto Bashar al-Assad, il dittatore alleato per decenni con Putin. Ora la Russia è stata cacciata dalla Siria così Mosca ha perso il suo baluardo in Medio Oriente comprese le antiche basi militari navali ed aeree. Il Cremlino è stato costretto a cercare in Libia, in preda alla guerra civile da oltre dieci anni, delle nuove basi per affacciarsi sul Mare Mediterraneo.
Trump ha modi spicci: tramite trattative dirette con Hamas è riuscito ad ottenere la liberazione dell’ostaggio israelo-americano Edan Alexander detenuto nella Striscia di Gaza. Non si fa scrupolo di negoziare con Hamas considerato un movimento terrorista islamico e visto come il fumo negli occhi da Benjamin Netanyahu. Il primo ministro israeliano non è più l’alleato d’acciaio di Trump: conferma l’obiettivo di far rientrare l’esercito d’Israele nella Striscia di Gaza per distruggere completamente Hamas, mentre il presidente statunitense insiste su un cessate il fuoco.

Donald Trump e Vladimir Putin
Le differenze non finiscono qui. Trump sta trattando con l’Iran, fino a poco tempo fa considerato un nemico giurato, per un nuovo accordo sui suoi impianti atomici da non utilizzare per scopi militari. Ha siglato una intesa con gli Houthi così le navi americane nel Mar Rosso non sono più bersagliate con missili e droni. Ma gli Houthi, stretti alleati dell’Iran, continuano a colpire dallo Yemen le imbarcazioni israeliane e lo stesso territorio israeliano, mentre Benjamin Netanyahu sembra sempre meditare un attacco ai centri atomici di Teheran. Cala la tensione in Medio Oriente e Trump riesce a estromettere la Russia da questo importante scacchiere mondiale.
Le cose però non vanno altrettanto bene per far cessare i combattimenti in Ucraina. Alla fine Putin non va alle trattative di Istanbul con Kiev. Il presidente russo respinge la richiesta di Volodymyr Zelensky di negoziare direttamente con lui una tregua di 30 giorni. Manda a discutere nella ex capitale turca dei suoi delegati su posizioni oltranziste, dei “falchi”. Così sia Zelensky sia Trump rinunciano a partecipare ai colloqui di Istanbul. L’incontro si conclude con un solo risultato: uno scambio di 1.000 prigionieri di Mosca e con 1.000 di Kiev. La Turchia comunica: Russia e Ucraina hanno concordato «in linea di principio, di incontrarsi nuovamente». Putin sembra aprire anche alla possibilità di un incontro diretto con Zelensky, Tutto qui.