Donald Trump ha proposto tagli ai finanziamenti federali per la ricerca scientifica, l’istruzione e l’ambiente? E allora ecco che l’Ue lancia un piano d’investimenti da 500 milioni di euro (in due anni) per attrarre ricercatori dagli Usa e da altre parti del mondo. L’iniziativa, chiamata Choose Europe for Science, è stata appena presentata a Parigi dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e dal presidente francese Emmanuel Macron, che nemmeno questa volta è riuscito a rinunciare al ruolo di primo della classe e ha preteso di anticipare il “grande annuncio” alla Sorbona di Parigi.

Ursula von der Leyen ed Emmanuel Macron
Ma lasciamo da parte il teatro e l’insopportabile Grandeur dell’inquilino dell’Eliseo e passiamo alla sostanza. La vera questione è se il Piano messo a punto da Bruxelles riuscirà realmente a calamitare un gruppo di ricercatori in grado di garantire sviluppo e innovazione al Vecchio Continente.
Intanto va considerato il punto di partenza, che già rappresenta un enorme handicap. Perché gli Usa pure con Trump conservano il primato tecnologico mondiale e sono al primo posto in quasi tutti i settori industriali innovati. Sul fronte opposto abbiamo, invece, un’Europa con grandi problemi strutturali: calo demografico, invecchiamento della popolazione, crescita stagnante attorno all’1 per cento e – soprattutto – un gap tecnologico enorme, un divario d’innovazione con l’America di circa 50 anni.
Ora, se questa stima, fatta da un analista famoso come Nouriel Roubini, l’uomo che previde con 4 anni di anticipo la crisi finanziaria globale del 2008, è esatta la distanza tra l’UE e gli USA risulta incolmabile. Almeno nel breve periodo.
E non è finita, perché, secondo uno scienziato come il fisico Roberto Battistoni, ex presidente dell’Agenzia spaziale italiana, «i milioni di cui si parla in Europa o in Italia non basteranno. Per attrarre i cervelli in fuga da Trump servirebbe una politica di lungo periodo con un investimento di 4-5 miliardi all’anno per i prossimi 20 anni».

Donald Trump ed Emmanuel Macron
Tornando poi agli Stati Uniti e alle disastrose misure di Trump, c’è da osservare che intanto la reazione dei mercati azionari, obbligazionari, creditizi e valutari ha costretto il capo della Casa Bianca a fare marcia indietro sui dazi contro la maggior parte dei partner commerciali dell’America. E anche a implorare la Cina di sedersi al tavolo della trattativa.
Secondo l’analisi del professor Roubini, il vero, grande argine al trumpismo è comunque il “fattore tecnologico”. La superiorità Usa sul resto del mondo è tale da far prevedere una crescita dell’economia statunitense vicina al 4 per cento entro 2030. Il doppio della stima FMI. Questo perché l’America è leader mondiale in 12 settori industriali innovativi che definiranno il futuro del Pianeta e ha un solo vero competitor: la Cina.
Quindi l’Ue non deve farsi troppe illusioni. Perché, se l’analisi del professor Roubini è fondata, neppure le tariffe e l’incertezza che ne è derivata modificheranno sostanzialmente il futuro economico degli Usa. Infatti «un Pil che passa dal 2 al 4 per cento grazie alla tecnologia, significa un aumento di 200 punti base del potenziale di crescita, mentre le misure annunciate da Trump su tariffe e flussi migratori ridurrebbero la crescita potenziale al massimo di 50 punti».
Insomma, il settore privato americano, i suoi investimenti e le sue grandi innovazioni sembrano in grado di compensare politiche sbagliate e scelte erratiche di Trump. Ragion per cui gli Stati Uniti, con buona pace del Piano annunciato dall’UE, continueranno tranquillamente a mantenere il loro primato sul resto del mondo nelle cosiddette discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica), ossia in tutti e quattro i settori da cui dipende il futuro globale.
Insomma la crescita del privato americano e la sua innovazione è in grado di compensare politiche sbagliate e scelte erratiche di Trump.