Mescolare politica e giustizia non va mai bene. Per garantire un corretto funzionamento delle istituzioni, i due poteri dovrebbero mantenersi sempre distinti. Dovrebbero, appunto. E qui l’uso del condizionale diventa obbligatorio, perché vanno considerate le interferenze della magistratura e l’uso “politico” delle sentenze in alcuni Paesi cosiddetti “democratici”.

Donald Trump
Ma oggi affidarsi a un Tribunale per mettere fuori gioco il leader di un partito avverso non sempre paga. Anzi. A volte può trasformarsi in un boomerang. Perché viviamo in tempi di populismo arrembante, dove un numero crescente di cittadini diffida dei politici che considera “tutti uguali” e le elezioni non si vincono più con le bandiere e gli slogan di un tempo. Insomma, presentarsi come rappresentanti esclusivi di ciò che è buono e giusto per poi criminalizzare l’avversario attraverso una magistratura pronta a certificarne la mancanza di etica, alla fine può rivelarsi un grande errore. Come dimostrano le ultime elezioni presidenziali negli Stati Uniti, dove la disastrosa campagna dei democratici Usa ha portato al trionfo di Donald Trump.
Adesso è la volta della Francia. Il Tribunale di Parigi ha appena condannato la leader della destra, Marine Le Pen, con l’accusa di appropriazione indebita di fondi Ue. Risultato: una sentenza di quattro anni di carcere (con sospensione di due) e interdizione dalle cariche pubbliche per i prossimi cinque anni. Cosa che, se confermata in appello, le impedirà di candidarsi alle elezioni presidenziali del 2027. Ma aver sbarrato le porte dell’Eliseo alla leader della destra francese che molti davano per favorita alla successione di Macron non sta portando i frutti sperati dai suoi avversari.

Marine Le Pen
La “condannata” ha subito accusato il Tribunale di “colpo di Stato” per poi chiamare i suoi simpatizzanti alla mobilitazione con slogan tipo: «Non ci faremo rubare le elezioni». E adesso i sondaggi sulle intenzioni di voto effettuati pochi giorni dopo la condanna stanno lì a dimostrare che il Rassemblement National non è uscito affatto indebolito dalla sentenza contro la sua leader. Infatti, se nel 2027, con la Le Pen ancora fuori gioco, RN candidasse al suo posto Jordan Bardella, il giovane e inesperto candidato dell’estrema destra dominerebbe il primo turno portando a casa oltre il 35 per cento dei voti.
A questo punto, è il caso di analizzare la sentenza del Tribunale di Parigi e mettere in fila i fatti contestati a Marine Le Pen. La corte ha stabilito che la leader di RN e altri membri del partito hanno “approfittato” dei fondi stanziati dal Parlamento europeo per pagare alcuni dipendenti mentre in realtà lavoravano esclusivamente per il partito.
Secondo il sito web investigativo Mediapart, il Rapporto antifrode certifica che Le Pen e alcuni membri del suo partito hanno sottratto in totale 617.000 di fondi Ue. Ma poi si precisa anche che nessuno di loro si è messo soldi in tasca per farne «uso personale». Insomma, hanno richiesto fondi UE e poi li hanno dirottati, ma per pagare stipendi e coprire le spese di alcuni eventi di partito. Punto.

Jordan Bardella
Anche qui bisogna aggiungere qualcosa. Ossia che pagare con fondi di Bruxelles personale di partito è prassi purtroppo abbastanza diffusa nell’Ue. Come dimostrano i numerosi casi venuti alla luce negli ultimi anni. Tutti con lo stesso schema in cui fondi Ue destinati ai gruppi parlamentari venivano utilizzati in modo improprio per pagare dipendenti di partito.
Ma nel caso Le Pen c’è un’ultima cosa da sottolineare: l’epoca in cui si sono svolti i fatti contestati. Il “dirottamento” dei fondi è avvenuto tra il 2004 e il 2016. Quindi abbiamo una sentenza di condanna che provoca un impedimento politico futuro (le presidenziali del 2027) basandosi su fatti vecchi di 10 o 20 anni. Detta in altre parole, siamo di fronte al Tribunale della capitale francese che impedisce al leader politico della destra di candidarsi alle prossime elezioni presidenziali per succedere a Macron.
A questo punto, il solo modo che ha la magistratura per evitare qualsiasi sospetto di condizionamento della politica, sarebbe quello di introdurre una piccola regola valida per tutti i Tribunali. Detta in parole semplici, dovrebbe suonare più o meno così: «La perdita del mandato e l’ineleggibilità di un politico possono far parte di una sentenza di condanna». Ma, per non alterare la volontà espressa liberamente dagli elettori, «tali misure vanno prese dai giudici soltanto in presenza di casi particolarmente gravi».