Se i telegiornali e i giornali vengono sempre meno visti e letti, una ragione c’è. Ci prendono tutti per citrulli. Si prendano i servizi e i titoli a proposito di risultati di sondaggi che dovrebbero certificare il gradimento o lo sgradimento degli elettori per questo o quel partito. Ci dicono che Azione, il partito di Carlo Calenda è in crescita; e il Movimento 5 Stelle in calo. Poi andiamo a vedere bene: Azione parte con il 3,6 per cento. Guadagna lo 0,3 per cento. E il partito di Conte perde: lo 0,3 per cento. Di cosa si sta parlando?

Liste elettorali
Crescono Fratelli d’Italia e Partito Democratico. Entrambi di ben lo 0,1 per cento. Perde Forza Italia: lo 0,2 per cento. La Lega di Matteo Salvini, nonostante il suo quotidiano strepitare rimane inchiodata all’8,4 per cento. Verdi e Sinistra perdono, accidenti, ben lo 0,2 per cento. Matteo Renzi (Italia Viva) e Più Europa, crescono: per loro lo 0,2 per cento…
A parte l’irrilevanza delle fluttuazioni del borsino politico, se si fa una banale sommatoria, il risultato è un fenomeno simile ai vasi comunicanti: perde un partito di uno dei due schieramenti, guadagna l’alleato, non l’avversario.
Questi sondaggi hanno una grave lacuna: riflettono l’orientamento di voto di chi ancora utilizza lo strumento della scheda elettorale. È però ormai un dato consolidato che circa la metà degli aventi diritto al voto rinuncia ad esercitarlo; manda un semplice univoco messaggio: siete tutti uguali, nessuno di voi merita fiducia, vi respingiamo. Quanti sono quelli che non votano?
Gli eletti rappresentano solo una parte dei cittadini; chi governa, per esempio, non ha conquistato il consenso della maggioranza dei cittadini. Nel caso specifico, Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni, registra il maggior numero di consensi nell’ambito della coalizione di destra-centro, che a malapena raccoglie la maggioranza di chi ha votato; ma non è la maggioranza del paese.

Un seggio elettorale a Roma
Indicativo quanto accaduto il 17 e 18 novembre scorso in una regione, l’Emilia-Romagna, da sempre “affezionata” al voto. Si trattava di eleggere il presidente della Regione, istituzione di indubbia rilevanza nella vita quotidiana degli abitanti. Candidato l’ex sindaco di Ravenna, espressione della locale realtà, non un “estraneo”. Alla chiusura dei seggi l’affluenza è stata del 46,42 per cento. A Bologna dal 70,94 per cento dei votanti alle regionali del 2020 si è passati al 51,67 per cento. In nessuna delle altre province si è superata la soglia del 50 per cento.
Un vistoso scollamento dovrebbe preoccupare tutti e in particolare la segretaria del Partito Democratico e il suo Presidente. Elly Schlein, ha sì il tripassaporto (italiano, svizzero e statunitense), ma risiede a Bologna, della regione è stata vice-presidente. Stefano Bonaccini in quella circoscrizione è stato eletto al Parlamento Europeo, e in precedenza è stato Presidente della regione.
Chissà se è una coincidenza: avevano escogitato le “primarie” quale strumento per ridurre la distanza tra eletti ed elettori. Da quando Schlein è stata eletta segretaria grazie a bizzarre primarie a due tempi, non ne hanno più fatte. I candidati per tutte le elezioni sono stati scelti a livello “centrale”. L’elettore ha solo ratificato. È per questo, per tornare ai sondaggi, che si hanno i risultati che si hanno?